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Memoria

 


In ricordo del compagno Guido Barroero

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In ricordo del compagno Guido Barroero

Potrei anche dire di aver conosciuto il compagno Guido Barroero da sempre, se i nostri rapporti non fossero rimasti alquanto superficiali proprio perché fu uno dei primi compagni a togliersi profeticamente di scena all'alba di quella che fu la crisi dell'esperienza comunista libertaria, per come si sviluppò in Italia negli anni ’70 del ‘900.

Di lui conservo un ricordo che risale a un’opaca giornata dell'ottobre del 1973 a Pisa, dove c’incontrammo per la prima volta a una riunione presso la sede della Federazione Anarchica Pisana, “la FAI”, in via S. Martino al numero 48, più o meno di fronte alla bella chiesa che allora ignoravo quasi sempre.

Provenivamo entrambi da Carrara laddove, unitamente ad altri compagni, eravamo stati esclusi dal convegno nazionale su Marini in conseguenza allo scontro politico e personale maturato all’interno della Federazione Anarchica Italiana (FAI), tra le componenti dell’anarchismo storico e la tendenza comunista libertaria fautrice dell’organizzazione orientata che, nel dicembre successivo, avrebbe abbandonato a Federazione per iniziare un autonomo percorso organizzativo.

Il clima era davvero incandescente e una certa intolleranza nostra non aiutò a raffreddarlo: e così fu che quel giorno d’ottobre del ‘73 la dissidenza comunista libertaria, interna e esterna alla FAI, si ritrovò a Pisa in una riunione affollata per fare il punto della situazione. In quell'occasione Guido Barroero, allora militante dell'Organizzazione Anarchica Ligure (OAL), svolse un chiarissimo intervento di prospettiva i cui contenuti politici di riferimento ancora oggi rivendico, nonostante i miei successivi adeguamenti che avrebbero determinato l’insorgere di profonde divergenze nei confronti di alcuni compagni, tra cui Guido Barroero.

Poi i nostri percorsi si divisero: io continuai a seguire il percorso organizzativo intrapreso mentre lui si allontanò da quell’esperienza militante, quasi intuendo la crisi che di lì a qualche anno sarebbe sopraggiunta e che avrebbe compromesso il raggiungimento degli obiettivi organizzativi prefissati. Così fu che ci perdemmo di vista, per incontrarci poi molto tempo dopo, in occasione di alcune sue collaborazioni alla nostra rivista “Comunismo Libertario” sulla storia dei Gruppi Anarchici di Azione Proletaria (GAAP) e di alcune comuni iniziative che però stentavano a decollare proprio perché le nostre posizioni erano ormai alquanto diverse su tutta una serie di questioni che riguardavano il “che fare?”, e ognuno procedette nel proprio percorso tracciato per incontrarci solo in pochissime altre circostanze.

Con il passare degli anni avrei potuto constatare che il ricordo di via S. Martino 48 sarebbe sopravvissuto alla scomparsa della storica sede della Federazione Anarchica e non solo per le mie obbligatorie e quotidiane frequentazioni pisane che, talvolta, mi conducevano in quella via a pranzare “al n. 11” con compagni della CGIL o con qualche collega di lavoro. Il più delle volte il ricordo invece mi sorprendeva all’improvviso in una qualche concreta constatazione, associandosi a un’inquietudine dovuta alla sopraggiunta consapevolezza di dovere la gran parte delle posizioni che mi avevano complicato la vita proprio alle riunioni consumate in quella sede, alla ricerca di una pratica coerenza tra il presente che si andava complicando, la teoria e la prassi rivoluzionaria di un anarchismo che avevamo cercato di rinnovare con risultati incerti, nei quali mi sembrava sopravvivessero solo le divisioni politiche e personali.

Si era trattato comunque di una serie di tentativi realistici, per altro documentati e commentati con obiettività da Guido Barroero, che avevamo intrapreso e vissuto collettivamente con grande consapevolezza, responsabilità e determinazione, unitamente a quella generosità che, perdurando, può condizionare le scelte importanti della vita, quale cemento di un’intera esperienza politica collettiva che non tramonta in nostalgia ma si trasforma in successivo orientamento.

Quel tentare tornò a sorprendermi quando mi ritrovai a passare in via S. Martino proprio davanti alla bella chiesa così a lungo ignorata, in una serata di ottobre di molti anni dopo che voglio ricordare luminosa. Per caso, potrei anche dire, mi ricordai ancora una volta la “Federazione”, le molte e significative riunioni nella grande stanza piena di fumo, le discussioni accalorate i compagni e, tra loro, Guido Barroero, con il suo qualificato e ancora attualissimo intervento di prospettiva, svolto in quell’affollata riunione del ‘73.


Pensai che un giorno o l’altro, forse, gli avrei anche detto che quell’intervento, il suo, sarebbe stato molto significativo per me, un “punto fermo” dico ora, che mi avrebbe sostenuto nelle numerose crisi successive a quegli anni: ma poi avrei lasciato cadere l’intendimento per un’incertezza destinata ad accrescersi dalla constatata diversità delle nostre rispettive posizioni politiche che, almeno da parte mia, non aiutavano l’interlocuzione.

Successivamente Guido Barroero avrebbe collaborato regolarmente a “Umanità Nova” scrivendo anche su “A rivista anarchica”. Ad alcuni suoi articoli, talvolta polemici, avrei impostato qualche tentativo di risposta in tono uguale, due o tre, non di più, macerandomi nel dilemma “se divaricare o non divaricare” le divergenze e finendo poi per non inviarli. Né presi in seria considerazione l’ipotesi di iniziare in qualche modo una relazione epistolare con lui. Anche in quella circostanza lasciai cadere la cosa, e fu un errore.

Quando ho appreso della morte del compagno Guido Barroero ho pensato che la vita è davvero ingrata e poi, ancora una volta, a quel silenzioso tributo di riconoscenza maturato nei suoi confronti per quella preziosa lezione impartitami; ho pensato anche alla luminosità di quegli anni che esprimeva un non casuale contrasto con l’opacità meteorologica di quella giornata dell’ottobre del ‘73; un contrasto allora non avvertibile proprio perché sovrastato dall’entusiasmo che ci animava, ma che già lasciava presagire l’estrema difficoltà dei tempi a venire, quale premessa di un futuro incerto e allarmante, che avrebbe impietosamente fatto giustizia di ogni semplificazione nostra: lo stesso che il compagno Guido Barroero intuì, documentò e che avrebbe tentato di fronteggiare.

Giulio Angeli, dicembre 2015

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