da "il CANTIERE" anno 2, numero 5, febbraio 2022   
             E'  	possibile una 
            politica  	fiscale equa? 
             
             
            Carmine  	Valente 
            Uno dei  provvedimenti più attesi dalla manovra di Bilancio sicuramente è  stata quella che pomposamente veniva chiamata “Riforma fiscale”.  Molte le aspettative che si erano create.
            
            
            I  lavoratori e i pensionati attendevano una risposta alle loro esigenze  di rimpinguare i propri redditi. Contemporaneamente il mondo della  produzione , con una confindustria tambureggiante, sosteneva che la  manovra doveva alleggerire soprattutto le imprese per agganciare e  favorire  la ripresa che i primi dati economici segnalavano. Sulla  stessa lunghezza d'onda la piccola imprenditoria di artigiani,  commercianti e aziende  addette al turismo che fortemente penalizzati  dal Covid e dalla sua gestione, hanno rivendicato per loro una  attenzione particolare.  
            Una  quadratura del cerchio che sembrava impossibile. Dare tutto a tutti.  E in effetti così il serafico presidente del consiglio ha “venduto”  la manovra fiscale.  “Non  è tempo di togliere, ma quello di dare”.  Riduzione e abbassamento delle aliquote fiscali, da 5 a 4, conferma  del Reddito di Cittadinanza, l'abolizione  dell’Irap per i lavoratori autonomi, le ditte individuali, e i  professionisti,  sgravi  al 100% nei primi 3 anni per i datori di lavoro che stipulano  contratti di apprendistato nel 2022 e che hanno meno di 9 dipendenti,  riduzione dei contributi a  carico dei lavoratori dipendenti con  reddito annuo inferiore a 35,000 euro.  
            Per  chi ha dimestichezza con le scritture sacre il pensiero è andato al  libro dell'Esodo dove si narra che dio inviò agli uomini di Mosè la  Manna dal cielo.   Ma quella fu dono divino e dono gratuito per 40 anni. Oggi, invece,  questa presunta “pioggia dal cielo”non è un regalo e i relativi  costi sono finanziati da un ulteriore aumento del debito pubblico. 
            Un  debito che persistendo un approccio monetarista alle crisi economiche  non potrà che gravare sulle condizioni di vita dei ceti meno  ambienti. D'altronde la strada nel prossimo futuro, quando gli  ingenti flussi finanziari del NextGenerationEU  (NGEU), dovranno essere comunque restituiti, è stata già tracciata  nella legge di Bilancio 2022 dove non è stato previsto nessun, pur  timido, meccanismo di redistribuzione della ricchezza. Nonostante  Oxfam  documenti che “Se  sommiamo le ricchezze dei sei milioni di italiani più poveri, la  cifra che otteniamo non raggiunge il patrimonio posseduto dai tre  miliardari più ricchi del paese. Insomma, solo tre persone  concentrano nelle loro tasche più soldi di quanti ne ha il 10% della  popolazione italiana.” (Fonte  Il sole 24ore del 20/01/2020), nessuna   ipotesi di introduzione di una tassa sui patrimoni  è stata presa in considerazione, e ciò in perfetta sintonia  bipartisan tra centro destra e centro sinistra. Tant'è che nella  rimodulazione delle aliquote partorite dalla legge di Bilancio si è  rapidamente accantonato l'ipotesi di un “contributo di solidarietà”  per i redditi superiori ai 75,000 euro; che in realtà non  significava che queste fasce avrebbero dovuto dare qualcosa in più  di quello che davano, ma semplicemente si trattava di sterilizzare la  quota di minor tasse che l'operazione fisco determina a loro  vantaggio.  
            Sotto  questa luce il debito pubblico nasconde la volontà   della classe dirigente di non voler  procedere ad una massiccia  redistribuzione dei redditi.  Non volendo colpire e  togliere ai  ricchi per dare ai poveri, si mette in atto un gigantesco inganno,  che mostra la corda quando, in condizioni di crisi, ( si veda nel  passato la crisi che portò alla caduta del governo Berlusconi e il  passaggio al governo Monti) i frettolosi rientri si praticano  applicando il rigore proprio a danno di  coloro che avrebbero potuto  essere in parte beneficiari della manovra redistributiva, (Grecia  docet) come la classe media produttiva e la classe operaia. Sotto  questo profilo il  debito pubblico mostra  tutta la sua iniquità.  
             Eppure  sul fisco, soprattutto per quelle forze parlamentari che ancora si  autodefiniscono progressiste, c'era molto da dire e molto da fare.  
             Una  premessa 
             Nella  fase preparatoria della legge di Bilancio, alcuni media e studi  professionali vicini al mondo delle piccole e medie imprese, hanno  messo in atto una campagna di pressione sul governo per accreditare  questo settore della società quale beneficiario privilegiato della  manovra fiscale, provando a dimostrare che è in questo ambito che si  concentra la maggior parte del prelievo fiscale e che la narrazione  che vuole che sia il lavoro dipendente a pagare la percentuale più  alta delle entrate fiscali non corrisponda alla verità, o meglio si  sottolinea che essendo i lavoratori dipendenti circa l'84% dei  contribuenti, sia del tutto normale, anzi sottodimensionato,  l'apporto fiscale del 82% che da questo aggregato viene prelevato.  
             Chi  paga veramente le tasse   
             Alcuni  dati ci fanno meglio comprendere la realtà dei fatti. Cifre e dati  che provengono direttamente da fonti non sospette, ovvero «La  Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Finanza 2021 –  Allegato “Relazione sull'economia non osservata e sull'evasione  fiscale e contributiva” 29/09/2021».   
             Il  documento del governo attesta che nel 2018, ultimi dati disponibili,  l'evasione fiscale e contributiva si attesta ad oltre 100 miliardi di  euro. La parte imputabile al lavoro dipendente, tra IRPEF e  contributi, non supera i 7,4 miliardi.  Ma a completare il quadro  dello sbilanciamento della imposizione fiscale vi sono tutti quei  regimi e meccanismi di imposizione che di fatto, già ora,  contraddicono l'indicazione dell'art. 53 della Costituzione sulla  progressività dell'imposta.  
             Vediamone  alcuni brevemente.  
             La  più eclatante è l'imposta sul reddito delle società, prima IREG,  ora IRES. Questa imposta dall'anno 2000 ad oggi è passata dal 37% al  24%, una riduzione di ben 13 punti percentuali.  
             Sul  fronte della tassazione  delle persone fisiche vi è una costante   proliferazione di norme che tendono a sottrarre base imponibile dal  reddito complessivo soggetto alla tassazione progressiva.  
             I  redditi di capitali in larga misura non confluiscono nel reddito  complessivo soggetto a tassazione progressiva  e sconta l'aliquota  del 26% ad esclusione dei titoli di Stato (BOT, cct..) a cui viene  applicata l'aliquota del 12,5%. (Meccanismi più complessi riguardano  la distribuzione degli utili d'impresa).  
             Altra  area importante di reddito che usufruisce di una tassazione  sostitutiva è quella derivante dalla locazione degli immobili. Tali  redditi anziché sommarsi al reddito complessivo scontano una imposta  secca del 21% e del 10% per gli affitti concordati.  
             A  completare il quadro della sottrazione “legale” della base  imponibile vi è  il regime forfettario IVA che per persone fisiche  che non superano i 65000 euro di ricavi, prevede un abbattimento dei  ricavi secondo indici di redditività prefissati tassati non in  maniera progressiva, ma con una imposta sostitutiva -che sostituisce  appunto IRPEF, addizionale regionale, addizionale comunale e IRAP-    del 15% che si riduce al 5% nei primi 5 ani di attività. Per  artigiani e commercianti iscritti all'albo è prevista inoltre una  riduzione del 35% dei contributi previdenziali.  
             Il  risultato di tutta questa massa normativa è che la progressività  dell'imposta nella realtà si scontra con una progressivo svuotamento  della base imponibile, prefigurando una concreta Flat Tax già  operante.  
             Alcune  considerazioni conclusive 
             Il  primo dato che colpisce nell'analisi della condizione  dell'imposizione fiscale in Italia in questo periodo di governo di  unità nazionale è la più assoluta assenza di una visione che un  tempo si sarebbe detta riformista, in  quei partiti che si vogliono  discendenti di radicate tradizioni popolari. Dell'idea che in molti  decenni dello scorso secolo, poneva il fisco al centro di una  possibile politica di sostanziale cambiamento delle condizioni di  vita dei ceti subalterni e che in ambiti più radicali si coniugava  addirittura con la parola d'ordine della “rivoluzione fiscale”  non vi è traccia, così come appare un generico richiamo retorico il  riferimento ai dettami dell'art. 53 della Costituzione.  
             Non  mancano in settori della società civile proposte anche radicali e  articolate sul che fare fiscale, ci riferiamo ad associazioni come  Attac, Sbilanciamoci, a riviste espressione del terzo settore, ad  ambiti del cattolicesimo sociale; da qui si richiede l'aumento  degli  scaglioni di reddito nell'Irpef, la creazione di aliquote fortemente  progressive, la previsione di una patrimoniale, tasse progressive sui  grandi capitali legati al web, lotta serrata all'evasione fiscale ed  altro, ed altro. Su questa scia potremmo anche noi avanzare proposte  e meccanismi di imposizione fiscale atte a redistribuire la ricchezza  in termini più equi e egualitari, ma tutto ciò non sposterebbe di  un millimetro l'attuale situazione.  
             Le  domande che dobbiamo porci sono:  prima, come mai siamo arrivati a  questo livello di gestione della finanza pubblica, entrate ed uscite;  secondo, quale è la condizione necessaria per invertire la rotta.  
             In  altri termini su che gambe, quale blocco sociale  potrebbe far   avanzare un modello di fiscalità più attento ai bisogni delle  masse?  In questo quesito ci stanno tutti i termini per una risposta  con non pecchi di ingenuità e di massimalismo. L'interrogativo  rimanda alla constatazione dei rapporti di forza che si determinano  tra le classi svelando come anche i più timidi progressi sul terreno  della giustizia sociale  siano stati sempre legati a momenti in cui  il movimento dei lavoratori facendosi motore della trasformazione e  riuscendo ad essere stimolo e  coinvolgimento di settori della  società civile, ha saputo rivendicare e conquistare concreti  miglioramenti delle proprie condizioni di vita. Un'onda che dal posto  di lavoro, fabbrica, campo, cantiere, ufficio e laboratorio  artigianale, si propaga al territorio, alla casa, alla scuola e che  legandosi alla rivendicazione dei diritti, non solo ha contribuito a  porre un argine allo strapotere statal-capitalistico, ma anche  generato un pensiero nuovo.  
             Anche  per le politiche fiscali eludere il problema della riconquista di  rapporti di forza a favore della nostra classe, sposta il problema  nel  mondo astratto delle alchimie politiche.  
            
              
              
              
               
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