Manifesto dei 
            Comunisti Libertari
            di George Fontenis    
            Il Comunismo Libertario : 
                Teoria  Sociale 
                      
              E' nel  19° secolo nel corso dello sviluppo del capitalismo  e delle prime grandi lotte operaie, e più precisamente in seno della prima  Internazionale ( dal 1861 al 1871) , che appare una dottrina sociale, chiamata  "Socialismo rivoluzionario" (per reazione contro il socialismo  legalitario, riformista o statale) o "Socialismo antiautoritario" o  "Collettivismo", ed in seguito "anarchismo" o "  Comunismo anarchico" o "Comunismo Libertario" . 
              Questa dottrina, questa  teoria nasce come reazione dei lavoratori socialisti organizzati. Essa è, in  tutti i casi, legata all'esistenza dell'antagonismo di classe, che si va  accentuando. Essa è  un prodotto  storico, nasce  in alcune condizioni  della storia , di sviluppo della società di classe, e non dalla critica  idealista di alcuni pensatori.  
              Il ruolo dei fondatori della dottrina,  Bakunin principalmente, fu quello di esprimere le aspirazioni  sincere delle masse, le loro reazioni, le loro esperienze, e non di creare  artificialmente una teoria appoggiandosi su una analisi astratta, puramente  ideale, o su delle teorie anteriori. Bakunin e con lui James Guillaume, in  seguito Kropotkin, Reclus, J. Grave, Malatesta ecc.. partono dall'osservazione  delle condizioni e delle forme di organizzazione e di lotta delle associazioni  dei lavoratori e delle masse contadine. 
              L'origine di classe dell'anarchismo è incontestabile . Come mai  allora così spesso l'anarchismo è stato considerato come una filosofia, una  morale o etica indipendente dalla lotta di classe, quindi come umanesimo  staccato dalle condizioni storico-sociali? 
              Noi questo ce lo spieghiamo attraverso molteplici motivi. 
              Da una parte, i primi teorici anarchici hanno cercato qualche volta  di riferirsi a delle opinioni di scrittori, di economisti, di teorici che li  hanno preceduti, Proudhon soprattutto (del quale molti scritti mostrano  incontestabilmente delle concezioni anarchiche). 
              I teorici, che li hanno  seguiti, hanno allo stesso modo qualche volta ritrovato presso degli scrittori  come la Boetie, Spencer, Godwin, Stirner, ecc. dei pensieri che avevano una  analogia con l'anarchismo, nel  senso  che essi manifestavano una opposizione alle forme di società di sfruttamento e  ai principi di dominazione che essi scoprirono. Ma le teorie di Godwin,  Stirner, Tucher sono unicamente delle riflessioni sulla società senza tener  conto della storia e delle forze che la determinano, senza tener conto delle  condizioni oggettive che pongono il problema della rivoluzione. 
              D'altra parte, in tutte  le società basate sullo sfruttamento ed il dominio, sono sempre esistiti dei  gesti di rivolta, individuali o collettivi con, a volte, un contenuto comunista  e federalista o realmente democratico, per cui si è giunti qualche volta a  considerare l'anarchismo come lotta eterna degli uomini verso la libertà e la  giustizia. Concetto vago, insufficientemente fondato sul piano sociologico o  storico, tendente ad assimilare l'anarchismo ad un umanesimo vago, basato sulle  mozioni astratte di "umanità " e di "libertà". 
              Agli storici borghesi del movimento operaio è sempre piaciuto  mischiare il comunismo anarchico con le teorie individualistiche, idealiste, e  sono in gran parte responsabili della confusione. Sono questi che hanno voluto  avvicinare Stirner a Bakunin .Si è qualche volta giunti, dimenticando le  condizioni di nascita dell'anarchismo, a ridurlo ad una specie di  super liberalismo facendoli perdere il suo  carattere materialista, storico e rivoluzionario. 
              Ma in ogni modo se le  rivolte anteriori al 19° secolo e le riflessioni di alcuni pensatori sulle  relazioni che intercorrono tra gli uomini e le categorie sociali, hanno  preparato l'anarchismo, questo esiste come teoria rivoluzionaria solo a partire  da Bakunin. 
              Certo le raccolte  e gli scritti anteriori, ai quali qualcuno  si rifà sono nate anch'esse da una società basata sul dominio di una classe su  un'altra. Le opere di Godwin per esempio esprimono bene l'esistenza della società  di classe, ma in modo idealista, confuso. L'alienazione dell'uomo dal gruppo,  dalla famiglia dalla religione dallo stato dalla morale , ecc.. è senz'altro di  natura sociale è senz'altro l'espressione di una società divisa in caste o in  classi. 
              Si può dire che delle  attitudini, delle riflessioni, dei modi di agire che noi possiamo qualificare  come di rivolta, di non conformismo, di anarchismo nel senso vago del termine,  sono sempre esistite.  
              Ma la formulazione  coerente di una teoria comunista anarchica, risale alla fine del 19° secolo e  si persegue ogni giorno, si precisa si perfeziona con l'apporto dell'esperienza  storica.  
              L'anarchismo non può  essere dunque assimilato ad una filosofia o ad un'etica astratta o  individualista. 
              Esso è nato nel e dal  sociale ed è stato necessario attendere un periodo storico determinato e un  certo stato dell'antagonismo di classe affinché le aspirazioni comuniste  anarchiche si manifestassero chiaramente, affinché il fenomeno della rivolta  sfociasse in una concezione rivoluzionaria coerente e completa.                  
              L'anarchismo non essendo una filosofia o un'etica astratta, non può  rivolgersi all'uomo astratto, all'uomo in generale. Per l'anarchismo non esiste  in questa società l'uomo senza aggettivi, "tout court"; c'è l'uomo  sfruttato appartenente alla classe degli sfruttati e c'è l'uomo delle classi  privilegiate, della classe dominante. Rivolgersi all'uomo" è cadere  nell'errore e nel sofisma dei liberali che si rivolgono al  "cittadino" senza tener conto delle condizioni economiche e sociali  dei cittadini . Rivolgersi all'uomo in generale dimenticando l'esistenza delle  classi e delle lotte di classe dando sfogo a delle declamazioni retoriche,  vuote sulla Libertà sulla Giustizia in generale e con le maiuscole, significa  permettere a tutte le filosofie borghesi, in apparenza liberali - ma in realtà  conservatrici e reazionarie - di penetrare nell'anarchismo, di pervertirlo in  un vago umanitarismo, di castrare la teoria, l'organizzazione e i militanti.  C'è stato un tempo e ciò si manifesta ancora in qualche paese all'interno di  certi gruppi, in cui la propaganda anarchica degenerava nel pianto di un  pacifismo integrale ed in una specie di cristianesimo sentimentale. E' stato  necessario reagire ed oggi l'anarchismo riparte all'assalto del vecchio mondo  con altri strumenti piuttosto che con considerazioni nebulose. 
              E' agli sfruttati, ai proletari, alle masse operaie e contadine che  si rivolge l'anarchismo, teoria sociale e metodo rivoluzionario, perché solo la  classe sfruttata, in quanto forza sociale, è un fattore rivoluzionario. 
              Vogliamo dire con ciò che la classe dei lavoratori è una  classe-messia, che gli sfruttati posseggono una provvidenziale chiaroveggenza,  tutte le qualità e nessun difetto? Sarebbe cadere nell'idolatria operaia, in  una metafisica di nuovo genere.     
              Ma la classe operaia  sfruttata, alienata, mistificata, frustrata, il proletariato, in senso lato,  inglobando allo stesso tempo la classe operaia propriamente detta (composta da  operai manuali aventi una certa psicologia comune una certa maniera di essere e  di pensare), ed altri salariati come gli impiegati o ancora in altri termini  l'insieme di quegli individui che svolgono delle mansioni esecutive nella  produzione e nell'ordine  politico,  dunque coloro che non prendono parte alla gestione, solo questa classe può, per  la sua condizione economica e sociale, sovvertire il potere e lo sfruttamento.  Solo i produttori possono realizzare la gestione operaia e cosa sarebbe la  rivoluzione se non il passaggio della gestione a tutti i produttori? 
              Il proletariato è dunque la classe rivoluzionaria per eccellenza ,  poiché la rivoluzione che essa può fare è una rivoluzione sociale e non  solamente politica, che emancipando se stessa, emancipa tutta l'umanità;  liquidando il potere della classe dominante, essa sopprime le classi. 
              Senza dubbio nella società   attuale le classi non hanno limiti precisi. 
              E' nel corso dei diversi  episodi della lotta di classe che si determina la separazione. Non ci sono  limiti precisi, ma ci sono due poli: proletariato e borghesia (capitalisti,  burocrati...); le classi  dette medie sono  lacerate nei periodi di crisi e si orientano verso l'uno o l'altro polo; esse  sono incapaci per la loro stessa condizione di dare una soluzione, poiché esse  non hanno né le caratteristiche rivoluzionarie del proletariato, né realmente  la gestione della società attuale come la borghesia propriamente detta. Si  osserva per esempio durante gli scioperi che una parte dei tecnici (soprattutto  quelli che sono nei fatti degli specialisti, quelli dei centri di studio per  esempio) si avvicina alla classe operaia , mentre un'altra parte, i tecnici che  ricoprono il ruolo dei quadri e una   gran parte dei capi, si allontana dalla classe operaia,  almeno per un periodo. La realtà sindacale  si rimette sempre all'esperienza, al pragmatismo, sindacalizzando alcuni strati  e non altri, seguendo il loro ruolo, la loro funzione. In ogni caso è la  funzione lo stato d'animo che permettono di caratterizzare una classe, più che  la retribuzione. 
              Il proletariato esiste.  C'è al suo interno una parte, la più decisa, la più attiva; la classe operaia  propriamente detta. C'è anche qualche cosa di più vasto oltre il proletariato e  che comprende altri stati sociali che è necessario coinvolgere nelle azioni:  sono le masse popolari che comprendono oltre al proletariato i piccoli  contadini, gli artigiani poveri ecc. 
              Non si deve cadere nella  mistica del proletariato ma avere chiaro un dato preciso, che il proletariato,  nonostante la lentezza della sua presa di coscienza, i suoi riflessi, le sue  disfatte è in definitiva la sola leva reale della rivoluzione. 
            Qui non possiamo fare a  meno di citare questo testo fondamentale di Bakunin: " Capire che, poiché  il proletariato, il lavoratore manuale, il carcerato, è il rappresentante  storico dell'ultima schiavitù sulla terra, la sua emancipazione è  l'emancipazione di tutti, il suo trionfo è il trionfo finale  dell'umanità...."( Opere complete-tomo IV pag: 425). 
             Senza dubbio è possibile che degli uomini che appartengono a delle  categorie sociali privilegiate, rompano con la classe di provenienza, con  l'ideologia ed i vantaggi di questa classe e vengano alla causa  dell'anarchismo. Il loro apporto è considerevole, ma in qualche modo questi  uomini diventeranno dei proletari. Per Bakunin i socialisti rivoluzionari, cioè  gli anarchici, si rivolgono "alle masse operaie tanto delle città quanto  delle campagne, comprendendo tutti gli uomini di buona volontà delle classi  superiori, che, rompendo con il loro passato, vorranno francamente  ricongiungersi a loro e abbracciare interamente il loro programma.". 
             Pur tuttavia non si può dire che l'anarchismo si rivolge, come  teoria sociale, all'uomo astratto, all'uomo in generale, senza tenere conto del  suo ambiente di nascita. 
              Togliere all'anarchismo  il suo carattere di classe sarebbe condannarlo all'astrattezza, condannarlo a  svuotarsi dei suoi contenuti e diventare un passatempo filosofico  inconsistente, una curiosità per borghesi intelligenti, un oggetto di simpatia  per un uomo di cuore idealista, un soggetto   di discussione accademica. 
              Noi dunque concludiamo: 
              l'anarchismo non è una  filosofia dell'individuo o dell'uomo in generale; l'anarchismo è , se si vuole,  una filosofia o un'etica, ma in senso molto particolare, molto concreto.   
              Lo è per le aspirazioni  che rappresenta, per gli scopi che si propone, e richiamando una citazione di  Bakunin, possiamo concludere dicendo che "il trionfo dei proletari è il  trionfo dell'umanità"; 
              proletario  (l'anarchismo),di classe per quanto riguarda le sue origini, solo per quanto  riguarda gli scopi è generalmente umano o se si vuole umanista; 
              esso (l'anarchismo) è una  scuola socialista, o meglio per essere più precisi, il solo socialismo o  comunismo genuino, la sola teoria o metodo valido per giungere alla società  senza caste e senza classi, realizzando la libertà e l'uguaglianza; 
              l'anarchismo sociale, o  comunismo anarchico o ancora comunismo libertario è una teoria sociale  rivoluzionaria, rivolta al proletariato del quale rappresenta le aspirazioni,  del quale, se si vuole, esso manifesta la vera teoria, teoria che il  proletariato acquisisce attraverso le sue esperienze. 
            Il problema del programma 
             L'anarchismo essendo una teoria sociale, si manifesta attraverso una  serie di analisi e di proposizioni che fissano i fini e i mezzi: cioè  attraverso un programma. 
              E' questo programma che  costituisce la piattaforma comune di tutti i militanti di una organizzazione  anarchica, piattaforma al di fuori della quale il raggruppamento non si farebbe  che su delle aspirazioni sentimentali, vaghe, confuse, senza il quale non ci  sarebbe una unità reale di vedute. Si avrebbe un raggruppamento con lo stesso  nome, ma con pensieri diversi, se non opposti. 
              Si pone allora una questione: il programma  può essere una sintesi che tiene conto di ciò che di comune  c'è tra uomini che si richiamano ad uno  stesso ideale, o più esattamente ad una stessa sigla? Ciò sarebbe allora  cercare una unità fittizia, dove per evitare le opposizioni rimarrebbe in  comune solo ciò che non ha importanza : si costruirebbe una forza comune ma  poco efficiente. Nel passato troppe volte si sono tentate delle  "sintesi" e delle "unioni", cartelli, alleanza, intese, ma  non è uscita che l'inefficacia e troppo spesso un ritorno ai conflitti: ponendo  la realtà dei problemi ai quali ciascuno apportava soluzioni divergenti o  opposte, i conflitti riapparivano insieme alla vanità, e la inutilità del  pseudo programma comune che non poteva essere che un rifiuto di agire, erano  dimostrati. 
              D'altra parte l'idea  stessa di far sorgere un programma già fatto, per la ricerca di piccoli punti  in comune suppone che tutti i punti di vista proposti siano giusti, che un  programma possa scaturire dai cervelli , in astratto. 
              Ora, un programma rivoluzionario, il programma anarchico, non può  essere un programma creato da alcuni uomini per poi essere imposto alle masse. 
              E' l'inverso che si deve  avere . Il programma dell'avanguardia rivoluzionaria, della minoranza agente,  non deve essere che l'espressione, rimaneggiata e vigorosa, chiara e resa  cosciente e evidente, delle aspirazioni delle masse sfruttate, chiamate a fare  la rivoluzione. In altri   termini la  classe prima del "partito". 
              Ciò che deve determinare  il programma è dunque lo studio, l'esperienza, la tradizione stessa di ciò che  è permanente nelle aspirazioni delle masse. C'è dunque nella elaborazione del  programma un certo "empirismo", che evita il dogmatismo, che evita la  sostituzione di uno schema elaborato da un piccolo gruppo rivoluzionario, con  ciò che è stato indicato dall'azione e dalla coscienza delle masse. 
              A sua volta il programma  elaborato, portato a conoscenza delle masse, non può che sviluppare la loro  coscienza. Infine, il programma così definito può essere modificato nella  misura in cui procede l'analisi della situazione e delle tendenze delle masse,  può essere formulato in termini più giusti e più chiari. 
              Così fatto il programma  non può essere l'insieme dei punti secondari che uniscono  (o meglio che non separano) degli uomini che  possono credersi vicini, ma è un insieme di analisi e proposizioni alle quali  si rifanno solo coloro che le  approvano  e si incaricano di propagandarlo e di realizzarlo. 
              Ma dirà qualcuno che sarà  necessario che questa piattaforma sia elaborata, redatta, da qualcuno o da  "un'équipe". Senza dubbio, ma, poiché non si tratta di un qualsiasi  programma, ma del programma dell'anarchismo sociale, non saranno accettate che  quelle proposizioni considerate concordanti con gli interessi, le aspirazioni,  la coscienza e le capacità rivoluzionarie della classe sfruttata. Allora si può  parlare veramente di sintesi, perché non si tratta di eliminare delle cose  importanti che dividono, ma si tratta di sintetizzare, in un testo comune,  delle nuove proposizioni che possono fondersi con l'essenziale. E' questo il  ruolo delle  riunioni di studio, delle  assemblee, dei congressi dei rivoluzionari, cioè quello di riconoscere un programma,  di riunirsi e di fondare la loro organizzazione su questo programma. 
              Il dramma è che più organizzazioni pretendono di rappresentare la  classe operaia, tanto le organizzazioni socialiste  riformiste o comuniste autoritarie che l'organizzazione  anarchica. Solo l'esperienza può verificare, può dare in definitiva ragione  agli uni o agli altri. 
              Non c'è una rivoluzione  possibile senza che le masse rivoluzionarie si raggruppino su una certa unità  ideologica, senza  che esse agiscano con  lo stesso fine. Ciò significa che per noi le masse attraverso la loro esperienza  troveranno la via del Comunismo Libertario. Ciò significa anche che la teoria  anarchica non è mai chiusa per ciò che riguarda i suoi punti di dettaglio, di  applicazione, e che essa si elabora e si completa in ogni istante in funzione delle  esperienze storiche. 
   
              Sembra che delle esperienze parziali, come la Comune di Parigi, la  Rivoluzione Russa del 1917, la Makhnovicina, le realizzazioni della Spagna, gli  scioperi, il fatto che la classe operaia ha conosciuto sulla propria pelle il  socialismo di stato, totale e parziale (dopo la Russia sino alla  nazionalizzazione e ai tradimenti dei partiti politici dell'occidente); sembra  che tutto ciò può permettere di affermare che il programma anarchico, con tutte  le modificazioni di cui è suscettibile, rappresenta la direzione nella quale è  possibile costruire unità ideologica delle masse. 
              Per oggi ci accontentiamo  di riassumere così questo programma: la società senza classi e senza Stato. 
            Rapporto tra le masse e  
                l'avanguardia rivoluzionaria 
             Abbiamo visto, parlando del programma, quale è la nostra concezione  generale del rapporto tra  la classe  oppressa e l'organizzazione rivoluzionaria definita per mezzo del  programma(vale a dire il partito nel senso puro del termine). 
              Ma noi non possiamo  accontentarci di dire: "la classe prima del partito" . E'  necessario sviluppare, spiegare come la  minoranza agente, l'avanguardia rivoluzionaria, è necessaria senza che per  questo diventi uno stato maggiore, una dittatura sulle masse. In altri termini  è necessario mostrare come la concezione anarchica delle minoranze agenti non  ha niente di aristocratico, di oligarchico, di gerarchico. 
            I - Necessità dell'avanguardia  
             Esiste una concezione per la quale iniziativa spontanea delle masse  è sufficiente per coprire tutta la possibilità rivoluzionaria. 
              E' vero che la storia ci  mostra un certo numero di fatti che noi possiamo considerare come dei movimenti  di massa spontanei, e questi gatti sono preziosi perché essi dimostrano la  capacità e le risorse delle masse. 
              Ma certo non porta  affatto ad accettare una posizione fatalista della spontaneità. Questo mito  porta ad una demagogia populista, all'apologia di un ribellismo senza principi,  a volte reazionario, all'attendismo e alla capitolazione. 
              All'opposto, noi troviamo  una concezione puramente volontaristica che vede come unica depositaria  dell'iniziativa rivoluzionaria, l'organizzazione d'avanguardia. Tale concezione  conduce ad una valutazione pessimista del ruolo delle masse, al disprezzo  aristocratico della loro capacità politica, a una condotta astratta dell'azione  rivoluzionaria e di conseguenza alla loro disfatta. Questa concezione contiene  in embrione la controrivoluzione burocratica e statale. 
              Vicino alla concezione  spontaneista noi osserviamo una teoria secondo la quale le organizzazioni di  massa; i sindacati per esempio, non solo sono sufficienti a sé stessi , ma sono  sufficienti a tutto. Questa concezione che si dice assolutamente antipolitica è  nei fatti una concezione economicista. Essa si esprime spesso sotto forma di un  "sindacalismo puro". Noi facciamo presente che se la teoria vuole  esistere è necessario che i suoi partigiani si astengano dal formulare ogni  programma, ogni finalità, altrimenti formulano una organizzazione ideologica, o  costituiscono uno stato maggiore con una linea precostituita. 
              Dunque questa teoria non  è coerente, che a condizione di limitarsi ad una concezione socialmente neutra  dei problemi sociali, ad una concezione empirica. 
              Ugualmente lontani dallo  spontaneismo, dall'empirismo, dal volontarismo noi fondiamo la necessità  dell'organizzazione rivoluzionaria anarchica   specifica, concepita come l'avanguardia cosciente e attiva delle masse popolari. 
            II- Natura  del ruolo dell'avanguardia rivoluzionaria 
             Incontestabilmente, l'avanguardia rivoluzionaria esercita un ruolo  di orientamento e di direzione di fronte al movimento delle masse. La polemica  ci sembra vana a questo proposito perché quale altra utilità potrebbe avere  un'organizzazione rivoluzionaria? La sua stessa esistenza attesta il suo  carattere di direzione e di orientamento. La vera questione è sapere come è  concepito questo ruolo, quale senso diamo noi alla parola  "dirigente".    
              L'organizzazione  rivoluzionaria, nasce per il fatto che i lavoratori più coscienti ne sentono la  necessità di fronte allo sviluppo ineguale e alla coesione insufficiente delle  masse . Ciò che è necessario precisare è che l'organizzazione rivoluzionaria  non deve costituire un potere sulle masse, il suo ruolo di guida deve concepirsi  come diretto a formulare, ad esprimere, un orientamento ideologico,  organizzativo e tattico, orientamento precisato, elaborato, adattato sulla base  delle aspirazioni e delle esperienze delle masse. Così le direttive  dell'organizzazione non sono degli imperativi esterni, ma l'espressione  riflessa delle aspirazioni generali delle masse popolari    La funzione direttiva dell'organizzazione  rivoluzionaria, nell'assenza di ogni possibilità coercitiva, non può  esercitarsi che sforzandosi di far trionfare la sua ideologia , ottenendo che  gli strati popolari si impregnino profondamente dei suoi principi teorici e  delle sue direttive tattiche. Questa è una lotta di idee e di esempio. E se non  si dimentica che il programma   di una  organizzazione rivoluzionaria, la via e i mezzi che essa indica, sono il  riflesso delle aspirazioni e delle esperienze delle masse, che l'avanguardia  organizzata è in fondo lo specchio della classe sfruttata, si comprende che la  "direzione" non è "dittatura", ma un orientamento  coordinato, che , al contrario si oppone alla manipolazione burocratica delle  masse, al caporalismo, al gregarismo, che essa deve darsi per permettere lo  svilupparsi della responsabilità politica diretta delle masse, che mira a  sviluppare la capacità d'autorganizzazione delle masse. 
              Questa concezione della  direzione è dunque insieme naturale ed educatrice. Allo stesso modo i militanti  meglio preparati, i più formati, all'interno dell'organizzazione, esercitano  verso gli altri militanti un ruolo di guida, di educatori, con il fine che  tutti divengano militanti saldamente informati e sempre pronti tanto sul piano  teorico che pratico, affinché tutti diventino a loro volta degli agitatori. 
              La minoranza organizzata  è l'avanguardia di un'armata molto più numerosa che trae  la sua ragion d'essere dall'esistenza di  questa armata: le masse. Se la minoranza agente, l'avanguardia, si stacca dalle  masse, essa non può più esercitare la sua funzione, essa diventa un clan o una  classe. 
              La minoranza  rivoluzionaria non può essere in ultima analisi, che la serva degli oppressi.  Essa ha delle enormi responsabilità ma nessun privilegio. 
              Un altro aspetto della  natura della minoranza rivoluzionaria è la sua stabilità: ci sono dei periodi  in cui la minoranza incarna una maggioranza che tende a riconoscersi nella  minoranza agente, ma ci sono dei periodi di riflusso nel corso dei quali la  minoranza rivoluzionaria non è che una isoletta nella tempesta. Essa allora  deve conservarsi per poter ritrovare l'ascolto delle masse fin da quando le  circostanze ridivengano favorevoli, anche isolata e staccata dalle proprie basi  popolari essa agisce secondo le costanti aspirazioni popolari, mantenendo il  suo programma contro venti e mareggiate. 
              Essa può anche essere  costretta a certi atti isolati, destinati a risvegliare le masse (attentati,  insurrezioni). La difficoltà è allora di evitare di estranearsi dalla realtà,  di trasformarsi in setta, in stato maggiore autoritario, di svuotarsi vivendo  di schemi, o di tentare di agire senza essere compresa, spinta o seguita dalle  masse popolari. Per evitare questa degenerazione è necessario essere sempre in  contatto con gli avvenimenti, con i luoghi degli sfruttati, essere attenti alle  minime reazioni, alle più piccole rivolte o realizzazioni, studiare minuziosamente  la situazione del momento, le sue contraddizioni, le sue debolezze, le sue  possibilità di evoluzione. Così la minoranza partecipando a tutte le forme di  resistenza e di azione (che possono andare, secondo le condizioni, dalla  rivendicazione al sabotaggio, dalla resistenza passiva alla rivolta) conserva  la possibilità di sviluppare e di orientare anche i più piccoli movimenti.  Sforzandosi di mantenere o di acquistare una visione generale, panoramica, dei  fatti sociali e della loro evoluzione adattando le tattiche appropriate alla  condizione del momento, essendo presente, la minoranza resta fedele alla sua  missione, evita di trascinarsi in coda agli avvenimenti, di diventare un  semplice apparato esteriore e estraneo al proletariato, e di essere sorpassato.  Evita di assumere calcoli e schemi puramente astratti, per le aspirazioni vere  del proletariato. Essa mantiene il suo programma, lo rivede e ne corregge gli  errori dopo l'esperienza. Quali che siano le circostanze, la minoranza non deve  mai dimenticare che il suo scopo supremo è di scomparire, identificandosi con  le masse, quand'esse arriveranno al più alto grado di coscienza, durante la  realizzazione rivoluzionaria.  
             III - Sotto  quali forme si esercita il ruolo dell'avanguardia? 
            Praticamente l'influenza dell'organizzazione rivoluzionaria può  esercitarsi sulle masse in due modi: esiste il lavoro negli organismi di massa  costituiti e il lavoro di propaganda diretto. Questo secondo tipo di attività  si esercita per mezzo della stampa, le campagne di agitazione e di  rivendicazione, il dibattito culturale, le campagne di solidarietà, le  manifestazioni commemorative, le conferenze, i meetings, e questo lavoro  diretto che può qualche volta compiersi nel corso di attività organizzate da  altri è indispensabile per affermarsi e per toccare certi settori dell'opinione  pubblica, inaccessibili, altrimenti. Questo lavoro è di primaria importanza sul  luogo di lavoro e sul luogo di abitazione. Ma questo lavoro non pone dei  problemi a proposito di sapere come la "direzione" può evitare  d'essere "dittatura". Diversamente per l'attività all'interno degli  organismi di massa costituiti. Innanzi tutto, che cosa possono essere questi  organismi? 
  Questi organismi sono  generalmente di natura economica, fondati sulla solidarietà sociale dei loro  membri, ma le loro funzioni possono essere multiple: difesa (resistenza, mutua  assistenza), educazione (palestra di autogoverno), offensiva (rivendicazioni  sul piano tattico, espropriazioni sul piano strategico), gestionaria. Questi  organismi, sindacati, comitati di lotta operai o altri, anche quando non  assolvono che una delle funzioni possibili, presentano un interesse diretto per  il lavoro fra le masse. 
  A fianco degli organismi  economici, esistono una moltitudine di organismi popolari, attraverso i quali  l'organizzazione specifica può realizzare il contatto con le masse. Sono per  esempio le organizzazioni culturali, del tempo libero, di assistenza nelle  quali l'organizzazione specifica può trovare delle energie, dei suggerimenti e  delle esperienze, può estendere la sua influenza, apportando il suo  orientamento, lottando contro gli scopi di egemonia e di controllo dello stato  e dei politicanti, per la difesa del carattere proprio di questi organismi  facendoli divenire centri di autogoverno e di mobilitazione rivoluzionaria, dei  germi della nuova società (degli elementi della società di domani esistono già  nella società di oggi). 
  In tutte queste  organizzazioni di massa, economiche e sociali, l'influenza deve esercitarsi e  rinforzarsi non per mezzo di un sistema di decisioni esterne ma per mezzo della  presenza attiva e coordinata dei militanti anarchici rivoluzionari  in questi organismi  e nei posti di responsabilità ai quali essi  sono normalmente chiamati secondo le loro capacità e secondo le loro  attitudini. Bisogna precisare che il militante non deve lasciarsi chiudere su  delle funzioni puramente amministrative, che lo impegnino tutto il tempo, non lasciandogli  nè il tempo nè l'occasione di esercitare una influenza reale. Gli avversari  politici tentano in effetti di far così  "prigionieri" i militanti rivoluzionari. 
  Questo lavoro di  "infiltrazione", come direbbero alcuni, deve tendere a trasformare  l'organizzazione specifica da minoranza in maggioranza, almeno dal punto di  vista dell'influenza. 
  Esso deve tendere ad  evitare ogni monopolio che finirebbe per far assorbire tutti i compiti, anche  quelli dell'organizzazione specifica, all'organizzazione di massa, o al  contrario ad attribuire ai soli membri dell'organizzazione specifica, in  maniera esclusiva, la direzione degli organismi di massa, mettendo da parte  tutte le altre opinioni. A questo proposito è necessario precisare che  l'organizzazione specifica deve promuovere e difendere nell'organizzazione di  massa, non solamente una struttura e un funzionamento democratico e  federalista, ma anche una "struttura aperta" cioè che faciliti  l'accesso di queste organizzazioni a tutti gli elementi non ancora organizzati,  affinché queste organizzazioni acquisiscano delle nuove forze sociali, sviluppando  il loro carattere rappresentativo e che siano più idonee a dare  all'organizzazione specifica un contatto al livello più alto con le masse. 
                                                                            
  Principi  interni dell'organizzazione rivoluzionaria o Partito 
             Ciò che noi abbiamo detto del programma, del ruolo e delle forme  dell'attività dell'avanguardia significa chiaramente che questa avanguardia  deve essere organizzata. Come? 
            I - Unità   teorica 
               
              Per agire è necessario un'insieme di idee coerenti. 
              Le contraddizioni, le  esitazioni, impediscono ogni penetrazione. D'altra parte la  "sintesi", o meglio l'agglomerazione di idee disparate, non avendo  che dei punti comuni senza importanza reale, non può produrre che confusione e  non può impedire che quasi subito le divergenze, che sono essenziali, vengano  alla luce. 
              Al di fuori delle ragioni  che noi abbiamo trovato nell'analisi del problema del programma, al di fuori  delle ragioni teoriche profonde sulla natura di questo programma, esistono  anche delle ragioni molto pratiche che richiedono l'unità teorica, come base di  un'organizzazione degna di questo nome. 
              L'espressione di questa  teoria comune  ed unica può essere il  frutto di una sintesi, ma in questo caso solo nel senso della ricerca di  un'espressione unica di idee sostanzialmente vicine, il cui essenziale è  comune. 
              L'unità teorica è data  dal programma così come noi lo abbiamo definito precedentemente e che  definiremo più avanti, programma Comunista-Libertario, che esprime le  aspirazioni generali delle masse sfruttate. 
              Precisiamo ancora che  l'organizzazione specifica non è la riunione, l'intesa di forme contrattuali  tra individui che portono delle convinzioni ideologiche particolari e  artificiali. Essa nasce e si sviluppa in modo organico, naturale poiché essa  corrisponde a un bisogno reale e su un certo numero di dati programmatici, non  creati in modo astratto, ma che riflettono ed   esprimono le aspirazioni storiche e profonde degli sfruttati.  L'organizzazione ha dunque una base di classe, anche se ammette gli individui  usciti dalla classe privilegiata e in qualche modo respinti da essa. 
            II - Unità  tattica, metodo d'azione collettiva 
                       
                Sulla base del programma l'organizzazione determina un orientamento  tattico comune. Ciò è quello che permette di trarre i vantaggi  dell'organizzazione: continuità e costanza nel lavoro, compensazione delle  debolezze di alcuni con la capacità e le forze degli altri, concentrazione  degli sforzi, economia delle forze, possibilità di rispondere in ogni momento  alle necessità, alle occasioni con il massimo dell'efficienza. L'unità tattica  evita lo sparpagliarsi, evita nel movimento l'effetto nefasto di più tattiche  che si oppongono le une alle altre. 
                E' a questo proposito che si pone il problema della determinazione  della tattica. Per ciò che concerne la teoria, il programma fondamentale, i  principi, se si vuole non ci sono problemi: essi sono riconosciuti  all'unanimità dall'organizzazione. Se ci sono delle divergenze sull'essenziale  c'è la scissione. Il nuovo venuto nell'organizzazione ammette questi principi  di base che non possono essere modificati che per accordo unanime o al prezzo  di una separazione. 
                Diversamente è la  questione della tattica. L'unanimità può essere ricercata, ma solamente fino al  punto in cui per realizzarsi non debba andare a mettere d'accordo tutti senza  decidere niente: gli accordi neri-bianchi (tra opposti) non lasciano sussistere  di un'organizzazione che una carcassa vuota, senza sostanza (e senza utilità poiché  l'organizzazione ha giustamente per scopo di coordinare le forze verso uno  stesso fine). E' necessario dunque ammettere che quando tutti gli argomenti per  ogni posizione presente sono stati dati, quando la discussione non può  utilmente essere prolungata, quando le opinioni vicine e fondamentalmente  identiche si sono fuse, e resta un'opposizione irriducibile tra le tattiche  proposte, l'organizzazione deve trovare una via di uscita. Non esistono che  quattro possibilità: 
                a) non decidere niente,  dunque non agire, e allora l'organizzazione perde ogni motivo di esistere;   
                b) accettare delle  tattiche differenti, lasciare ciascuno sulle proprie posizioni.  L'organizzazione può ammetterlo in alcuni casi limite, su punti non di vitale  importanza; 
                c) consultare  l'organizzazione tramite un voto che permetta di stabilire una maggioranza, la  minoranza avendo accettato di sacrificare il suo punto di vista nell'azione  pubblica, si riserva di continuare a svilupparlo all'interno  dell'organizzazione, confidando che se esso corrisponda maggiormente alla  realtà più del punto di vista maggioritario, finirà per trionfare alla prova  dei fatti; 
                Qualche volta si  invocherà la mancanza di obiettività di questo processo, il numero non  significa per forza la verità, ma è il solo possibile. Non manifesta nessuna  tendenza coercitiva, poiché non è applicabile che ai membri dell'organizzazione  che l'accettano come regola e che la minoranza accetta come una necessità  permettendo di verificare le posizioni tattiche accettate;  
              d) quando ogni intesa si  rivela impossibile tra maggioranza e minoranza su un punto capitale che esige  una presa di posizione dell'organizzazione, allora la scissione si produce in  maniera naturale ed inevitabile. 
              In ogni caso è una unità di tattica che si cerca di realizzare, e  d'altronde al di fuori di questa ricerca i congressi non sarebbero che dei  confronti senza risultati e senza utilità pratica. Questo perché la prima  soluzione possibile, a) cioè non decidere niente è da rigettare in ogni caso, e  la seconda,  b) cioè ammettere più  tattiche non può essere che un caso eccezionale. 
              Beninteso, sono soltanto  le assise dove l'organizzazione è rappresentata  tutta intera che può deliberare sulla linea tattica e stabilirla  (convegni, congressi, ecc.:) 
            III - Azione collettiva e disciplina 
             Una volta che è stata decisa una linea tattica generale, si pone il  problema dell'applicazione. E' chiaro che se l'organizzazione ha definito una  linea d'azione collettiva, l'ha fatto affinché le attività militanti di ogni compagno  e di ogni gruppo dell'organizzazione siano conformi a questa linea. Nei casi in  cui si è formato una maggioranza e una minoranza ma le due parti hanno deciso  di continuare il lavoro in comune, nessuno può considerarsi vessato poiché  ciascuno ha accettato questa forma di attività e ha partecipato  all'elaborazione della linea. Questa disciplina liberamente accettata non ha  niente in comune con il caporalismo, con l'obbedienza passiva a degli ordini.  Non c'è nessun apparato di coercizione che obbliga ad accettare un punto di  vista non condiviso da tutta l'organizzazione: c'è solamente il rispetto degli  impegni liberamente presi, allo stesso modo per la minoranza che per la  maggioranza. Ben inteso, i militanti e le differenti parti dell'organizzazione possono  prendere delle iniziative, ma solo nella misura in cui esse non entrano in  contraddizione con gli accordi e i provvedimenti presi dagli organismi  individuati per deliberare, cioè se queste iniziative sono di fatto  l'applicazione delle decisioni collettive, in attività particolari, quando esse  impegnano l'organizzazione intera, ciascun membro deve consultare  l'organizzazione per mezzo dei suoi organi rappresentativi e di collegamento.  Dunque attività collettive e non attività decise personalmente da dei militanti  "separati" cioè presi singolarmente. 
              Così ciascun membro  partecipa all'attività di tutta l'organizzazione come l'organizzazione è  responsabile dell'attività rivoluzionaria e politica di ciascuno dei suoi  membri, poiché questi non agiscono sul piano politico, senza consultare  l'organizzazione. 
             IV - Federalismo o democrazia interna 
             Al contrario del centralismo che è la sottomissione  cieca delle masse ad un centro, il federalismo permette a secondo dei casi, le  centralizzazioni necessarie e la libera determinazione di ciascun membro e il  suo controllo sull'insieme. Non impegna i partecipanti che su ciò che hanno in  comune. 
  Il federalismo quando unisce dei gruppi basandosi sull'interesse  materiale, trova ragione della sua esistenza su un patto e la base di unità può  qualche volta essere debole. E' il caso di alcuni settori dell'azione  sindacale. Ma nell'organizzazione rivoluzionaria anarchica, si tratta  di un programma che rappresenta le aspirazioni  generali delle masse, la base di unione (i principi, i programmi) è più  importante delle differenziazioni e l'unità è molto forte: piuttosto che di  patto o di contratto, è necessario parlare di unità funzionale, organica,  naturale. 
              Il federalismo non deve essere inteso come il diritto di manifestare  le fantasie personali, senza tenere conto degli obblighi contratti verso  l'organizzazione. 
              Significa l'accordo concluso tra i membri e i gruppi in vista di un  lavoro comune verso uno scopo comune, ma intesa libera e adesione riflettuta. 
              Un tale accordo, sottintende da una parte che i partecipanti  compiano nel modo migliore i doveri accettati e si conformino alle decisioni  prese in comune; dall'altra che gli organi di coordinamento e di esecuzione  siano designati e controllati da tutta l'organizzazione nelle sue assemblee e  nei suoi congressi, essendo stati fissati con precisione  i loro compiti e attributi.  
              E' dunque sulle basi seguenti che può esistere un'organizzazione  anarchica efficace: 
   - Unità teorica; 
   - Unità tattica; 
   - Azione collettiva e disciplina; 
   - federalismo. 
            PROGRAMMA COMUNISTA-LIBERTARIO 
            I - Gli aspetti della dominazione borghese: 
                      Il  capitalismo e lo Stato 
             E' necessario,  prima di indicare gli scopi e le soluzioni del Comunismo Libertario, esaminare  nelle grandi linee a quale avversario ci troviamo di fronte. 
            Per quello che ci è dato conoscere dalla storia  dell'umanità osserviamo, fin da quando la società umana è divisa in categorie  (in particolare a causa della divisione del lavoro sociale), degli antagonismi  tra le classi sociali e fin dalle rivendicazioni e le rivolte più vecchie, come  una catena di lotte condotte per una vita migliore ed una società più giusta. 
  L'analisi anarchica considera che la società del nostro tempo, come  tutte quelle che l'hanno preceduta , non e una: essa è divisa in due campi molto differenti, sia per quanto riguarda  la loro situazione che dal punto di vista   delle loro funzioni sociali : il proletariato (nel senso più largo del  termine) e la borghesia. Questa situazione si accompagna ad un fatto: la lotta  delle classi, delle quali il carattere può cambiare, delle volte complessa e  insensibile, delle volte aperta, rapida , è chiaramente osservabile. 
  Questa lotta è spesso mascherata da contrasti fra interessi  secondario, da conflitti tra gruppi della stessa classe, da fatti storici  complessi e, almeno nelle apparenze, senza rapporto diretto con l'esistenza  delle classi e del loro antagonismo, ma in sostanza questa lotta è sempre  diretta verso la trasformazione della società attuale, in una società che  risponda ai bisogni, alle necessità e alle concezioni di giustizia degli  sfruttati e perciò stesso in una società senza classi che liberi l'umanità  intera. 
  La struttura di una società qualsiasi esprime sempre nel suo  diritto, nella sua morale, nella sua cultura, la situazione rispettiva delle  categorie sociali, delle quali alcune sono sfruttate, asservite, le altre  detentrici della proprietà e dell'autorità. 
  Nella società moderna economia, politica, diritto, morale, cultura,  si basano sull'esistenza di privilegi, dei monopoli di una classe e della  violenza organizzata da questa  classe  per mantenere la sua supremazia. 
             Il capitalismo 
                 
                Molto spesso il sistema del capitalismo è considerato come la sola  forma economica dello sfruttamento. Ora il capitalismo è una forma economico e  sociale relativamente recente e le società umane hanno conosciuto ben altre  forme d'assoggettamento e di sfruttamento, a partire dai clan, gli imperi  barbarici, le città antiche, il feudalesimo, le città del Rinascimento, ecc.  L'analisi della nascita, dello sviluppo, dell'evoluzione del capitalismo è  stata l'opera di tutti i teorici socialisti dell'inizio del secolo XIX (Marx ed  Engels non hanno fatto altro che sistematizzarla) ma questa analisi non spiega  sufficientemente del tutto il fenomeno generale dell'oppressione di una classe  su un'altra e delle sue origini. 
                E' inutile discutere se l'autorità ha preceduto o ha seguito la  proprietà. Lo stato attuale delle ricerche non permette di stabilire l'una o  l'altra ipotesi, ma appare evidente che potere economico, politico, religioso,  morale, ecc.. sono stati strettamente legati sin dall'origine. Ad ogni modo non  si può limitare il ruolo del potere politico al solo strumento delle potenze  economiche. Così l'analisi del fenomeno capitalismo non è stata accompagnata da  un'analisi sufficiente   del fenomeno  "Stato", perché si è fissato su una parte limitata della storia e  solo i teorici anarchici, soprattutto Bakunin e Kropotkin, si sono sforzati di  dare a questo fenomeno tutta la sua importanza che troppo spesso si limitava  allo stato presente nel periodo di crescita del Capitalismo. 
            Oggi, l'evoluzione del capitalismo, passando  dal capitalismo classico al capitalismo  pianificato e al capitalismo di Stato, crea  delle forme sociali nuove di cui l'analisi sommarie dello stato non possono più  rendere conto. 
             Che cosa è il  capitalismo? 
            a) E' una società di  classi antagoniste dove la classe sfruttatrice detiene e controlla i mezzi di  produzione 
  b) Nelle società  capitaliste tutti i beni, compresa la forza lavoro del salariato, sono delle  merci. 
  c) La legge suprema del  capitalismo, il motivo della produzione dei beni non è per i bisogni dell'uomo,  ma per l'aumento del profitto, cioè il surplus prodotto dai lavoratori,  quello  che è strettamente necessario  per vivere, Questo surplus è pure chiamato plusvalore. 
  d) L'aumento della  produttività del lavoro non è seguito dalla valorizzazione del capitale che è  limitato(sottoconsumo) .Questa contraddizione che si esprime con  "la caduta tendenziale del saggio del  profitto" crea delle crisi periodiche che portano i detentori del    capitale ad ogni sorte di espediente:  restringimento della produzione, distruzione dei prodotti, disoccupazione,  guerre ecc.. 
    
              Il capitalismo ha  conosciuto una evoluzione: 
                          1) Periodo precapitalista: dalla fine del medioevo, l'economia  feudale vede svilupparsi al suo interno la borghesia mercantile e bancaria. 
                          2) Capitalismo classico o liberale o privato: con l'individualismo  dei detentori del capitale, concorrenza ed espansione (dopo l'accumulazione  primitiva del capitale, con l'esproprio, lo sfruttamento, la rovina delle  popolazioni contadine ecc.. il capitalismo che si stabilisce nell'Europa  occidentale ha il mondo da conquistare, delle risorse formidabili di ricchezza  e di mercato che apparivano immense). 
              La rivoluzione borghese, eliminando le barriere feudali aiutano lo  sviluppo del nuovo sistema. Sono l'industrializzazione, il progresso tecnico,  che hanno dato origine alla forma capitalistica di produzione e al passaggio  della borghesia commerciale del XV°, XVI° e XVII° secolo alla borghesia  capitalistica industriale. Essi continuano a svlupparsi.   
              Durante questo periodo, le crisi sono poche numerose, poco gravi. Lo  Stato gioca un ruolo secondario perché la concorrenza elimina i deboli, è il  libero gioco del sistema. E' il periodo del vapore, del carbone, sul piano  tecnico; della proprietà privata e del libero scambio sul piano economico, del  parlamentarismo sul piano politico, dello sfruttamento totale e della miseria  più tremenda dei salariati sul piano sociale. 
                          3) Capitalismo dei monopoli, di accordi o imperialismo: la  produttività aumenta, ma i mercati si restringono o non aumentano nella stessa  proporzione. Caduta del tasso di profitto del capitale sovraccumulato. Gli accordi (trust, cartelli, ecc..) rimpiazzano la concorrenza, le  società anonime sostituiscono il padrone individuale, il protezionismo  interviene, l'esportazione di capitali si aggiunge a quella delle merci, il  credito finanziario gioca un grande ruolo, la fusione del capitale bancario e  del capitale industriale forma il capitale finanziario che addomestica lo stato  e fa appello al suo intervento. E' il periodo del petrolio e dell'elettricità  sul piano tecnico; degli accordi del protezionismo , della sovraccumulazione di  capitale e della tendenza della caduta del tasso di profitto, delle crisi, sul  piano economico; delle guerre, dell'imperialismo, dello sviluppo dello stato  sul piano politico: La guerra è una necessità per superare le crisi, le  distruzioni allargano il mercato. Sul piano sociale: miseria operaia, ma alcune  leggi sociali limitano alcuni aspetti dello sfruttamento. 
            4) Capitalismo di stato: tutto ciò che caratterizza il periodo  precedente si accentua. Le guerre non sono più sufficienti per superare le  crisi. E' necessaria una economia di guerra permanente che investa enormi  capitali nell'industria bellica, senza aggiungere niente al mercato ristretto  delle merci: un profitto apprezzabile è determinato dalle commesse dello stato. 
  Questo periodo si caratterizza per l'intervento dello stato nelle  più importanti branche economiche e sul mercato del lavoro. 
  Lo Stato diventa  capitalismo, cliente, fornitore e sorvegliante del lavoro e della manodopera e  per conseguenza si assicura sempre di più il controllo dell'orientamento  politico, della cultura  ecc.. 
  La burocrazia dilaga, la  disciplina e i regolamenti si impongono sul lavoro e giustificano una  regolamentazione sempre più severa.  Lo  sfruttamento e il salariato vengono mantenuti come gli altri caratteri  essenziali del capitalismo, ma sotto l'apparenza di forme socialisteggianti  (statuti, assistenza sociale, pensioni..) che segnano l'assoggettamento sempre  più grande del proletariato. 
  Le forme del capitalismo  di stato sono varie: nazionalsocialismo tedesco, nazional-socialismo  stalinista, dirigismo sempre più esteso delle "democrazie", ma  presentano una forma attenuata (dovuta ad  una riserva di plusvalore-mercato ancora esteso nelle colonie). Politicamente  come economicamente, questo periodo tende ad assumere una forma totalitaria. Lo statalismo si  manifesta dunque in forme sia politiche che economiche che culturali:  finanziamenti statali, economia di guerra, grandi lavori, servizio del lavoro,  campi di concentramento, trasferimento di popolazioni, ideologie  giustificatrici dell'ordine di cose totalitarie (ideologie varie: una  contraffazione dell'ideologia marxista-leninista in URSS; la razza per il  nazional-socialismo di Hitler, la Roma antica per il fascismo di Mussolini  ecc..). 
            Lo Stato 
            Se il capitalismo,  malgrado le sue trasformazioni, i suoi adattamenti conserva dei caratteri  permanenti, plus-valore, crisi, contraddizioni, lo stato non può essere  considerato più come un'organizzazione pubblica di repressione in mano alla  classe dirigente, l'agente di affari della borghesia, il gendarme del  capitalismo. 
            Un esame delle forme di  stato anteriore al periodo di crescita del capitalismo e delle forme di stato  attuali ci porta a considerare che lo stato ha un valore diverso di quello di  puro strumento. 
            Lo stato medioevale, lo  stato delle monarchie assolute d'Europa, lo stato faraonico ecc.. sono stati  delle realtà di per se stesse, se si può dire, esse hanno realizzato lo stato  classe dominante. E lo stato della fase imperialista del capitalismo, lo stato  attuale, tende da sovrastruttura a diventare esso stesso "struttura".  Per gli ideologi della borghesia lo stato è l'organo regolatore della società  moderna. E' vero, ma sulla base di un ordine che è l'assoggettamento della  maggioranza ad una minoranza, esso è dunque la violenza organizzata della  borghesia contro i lavoratori, esso è l'apparato della classe dominante, ma  insieme a questo carattere "funzionale", diventando esso stesso la  classe dominante organizzata, esso tende a superare le divisioni tra i gruppi  dirigenti in politica ed in economia, tende a fondere in un unico blocco le  forze che detengono il potere politico e il potere economico, i diversi settori  della borghesia sia per accrescere il suo peso repressivo all'interno sia per  aumentare la sua capacità espansiva all'estero. Esso va verso l'unità del  politico e dell'economico estendendo la sua egemonia su tutte le attività,  integrando i sindacati operai ecc.. trasformando il salariato propriamente  detto, in tempi moderni, ma completamente assoggettato, ma con un minimo di  garanzie (indennità, assistenza sociale, ecc..). esso non  è più uno strumento ma una potenza di per se  stessa. 
            In questo stadio, in  corso di realizzazione in tutti i paesi anche in USA, tentato dal nazismo,  quasi perfettamente raggiunto in URSS, ci si può anche domandare se conviene  ancora parlare di capitalismo o se questo grado di sviluppo della fase  imperialista del capitalismo non deve essere considerato come una nuova forma  di società di sfruttamento che è già cosa diversa dal capitalismo. La  differenza non sarà più allora quantitativa, ma qualitativa: non si tratterà  più di un grado di evoluzione del capitalismo ma di qualcosa di diverso di  realmente nuovo e differente. Ma questa questione è soprattutto una questione  di valutazione e di terminologia che può sembrare prematura e senza una portata  reale attualmente. 
            Ci basta esprimere così  la forma di sfruttamento e di asservimento verso la quale tende la società  borghese e lo stato come apparato di classe e come organizzazione della classe,  sia strumentale che funzionale, sovrastruttura e struttura, tende ad unificare  i poteri, tutte le forme di dominio della borghesia sul proletariato. 
            II - I Caratteri del Comunismo Libertario 
            Abbiamo tentato di riassumere il più chiaramente  possibile gli aspetti della società borghese che la rivoluzione ha come scopo  di eliminare facendo nascere una nuova società: la società comunista anarchica.  Prima di esaminare come si può individuare il fatto rivoluzionario, è  necessario precisare i caratteri essenziali della Società Comunista Libertaria. 
             Comunismo: dalla fase inferiore alla fase superiore 
            Non si potrà mai definire  la società comunista che ripetendo la vecchia formula: "Da ciascuno  secondo i suoi mezzi, a ciascuno secondo i suoi bisogni". All'inizio essa  afferma la subordinazione totale dell'economia ai bisogni dello sviluppo umano  nell'abbondanza dei beni, la diminuzione del lavoro sociale e la riduzione  secondo le sue forze e le sue capacità reali di ciascuno in questo lavoro. L a  formula quindi esprime la possibilità di sviluppo totale dell'uomo. 
              In seguito questa formula  suppone la scomparsa delle classi, il possesso e lo sfruttamento collettivo dei  mezzi di produzione, perché solo questo sfruttamento da parte della comunità  può permettere una ripartizione secondo i bisogni. 
              Ma il comunismo perfetto  della formula "a ciascuno secondo i suoi bisogni", presuppone non  solamente la produzione collettiva (gestita dai consigli dei lavoratori, o i  sindacati, o le comuni), ma egualmente uno sviluppo al massimo della  produzione, cioè l'abbondanza. 
              Pertanto è certo allorché  si verifichi il fatto rivoluzionario, che le condizioni non permetteranno  questo stadio superiore del comunismo, e la situazione di ristrettezza  significherà la persistenza dell'economico   sull'umano, da cui una certa limitazione e allora l'applicazione del  comunismo non sarà più  quella del  principio "a ciascuno secondo i suoi bisogni" ma soltanto  l'uguaglianza della remunerazione o delle condizioni, fatto questo che porta ad  un razionamento egualitario o ancora ad una ripartizione per mezzo di simboli  monetari a validità limitata e che ha come unico scopo quello di ripartire i  prodotti che non sono nè abbastanza rari per essere razionati in maniera  rigida, nè così abbondanti per essere dati "a sazietà"; questo  sistema monetario permette al consumatore di decidere esso stesso in quale  maniera spendere la sua remunerazione. Si è potuto anche tentare di attenersi  alla formula "a ciascuno secondo il suo lavoro", tenendo conto del  ritardo della psicologia di certe categorie attaccate alle lezioni di gerarchia,;  considerando la necessità di procedere per differenziazioni dei tassi dei  salari o dando dei vantaggi come la riduzione del tempo di lavoro per mantenere  e sviluppare la produzione in certe attività infelici o poco piacevoli o per  ottenere degli spostamenti di mano d'opera. Ma l'importanza di queste  differenziazioni sarebbe minima nella società comunista, anche nella sua fase  inferiore (che alcuni chiamano socialismo) tende verso un egualitarismo tanto  grande quanto possibile, un'equivalenza di condizioni. 
             Comunismo Libertario 
            In una società dove la  proprietà collettiva e i principi egualitari sono realizzati non può essere una  società in cui può esistere lo sfruttamento economico, dove esiste un regime di  classe. Essa ne è giustamente la negazione.  
              E ciò è vero anche per la  fase inferiore del comunismo, dove si manifesta un certo controllo  dell'economia, ma dove non si giustifica per niente l'esistenza dello  sfruttamento. Altrimenti la rivoluzione che parte quasi sempre da una  situazione di penuria, sarebbe automaticamente fallita. La rivoluzione  Comunista Libertaria non realizza all'inizio una società perfetta e altamente  sviluppata, ma distrugge le basi dello sfruttamento, della denominazione. E' in  questo senso che Voline parlava di "rivoluzione immediata ma  progressiva". 
              Ma c'è l'altro problema:  quello dello Stato, del tipo di   organizzazione politica, economica e sociale. Certamente, le scuole  marxiste-leniniste vedono la scomparsa dello stato nella fase posteriore del  comunismo, ma considerano lo stato come una necessità durante la fase  anteriore. 
              Questo stato definito  "operaio" e "proletario" è considerato come il controllo  organizzato reso necessario dall'insufficienza dello sviluppo economico, dalla  mancanza dello sviluppo delle capacità umane; e perlomeno in una prima fase  dalla lotta contro i resti delle ex classi dominanti vinte dalla rivoluzione o  più esattamente la difesa del territorio rivoluzionario all'interno e  all'esterno.  
              Quale può essere secondo  noi la forma di gestione economica della società comunista? 
              Senza ombra di  contestazione la gestione operaia, la gestione dell'insieme dei produttori. Ora  noi abbiamo visto che sempre di più la società di sfruttamento realizzava  l'unificazione del potere, che le condizioni di sfruttamento erano a mano a  mano la proprietà privata, il mercato, la concorrenza ecc.. e che anche lo  sfruttamento economico, la condizione politica e la mistificazione ideologica  facevano corpo, essendo al gestione della produzione la base essenziale del  potere e la linea di divisione tra gli sfruttatori e gli sfruttati. In queste  condizioni, l'essenziale dell'atto rivoluzionario, l'abolizione dello  sfruttamento si realizza con la gestione operaia e questa gestione rappresenta  il sistema di sostituzione di tutti i poteri. E' l'insieme di tutti i  produttori che gestisce organizza e realizza l'amministrazione, l'autogoverno,  la vera democrazia, libera uguaglianza economica, la soppressione dei  privilegi, delle minoranze dirigenti e sfruttatrici che tiene conto delle necessità  economiche, delle necessità di difesa della rivoluzione. L'amministrazione  delle cose si sostituisce al governo degli uomini. 
              L'abolizione tra  dirigenti e gli esecutori dell'economia se si accompagnasse alla politica del  mantenimento di questa opposizione sotto la forma della dittatura di un partito  della minoranza sarebbe senza domani o creerebbe un conflitto tra produttori e  burocrati politici. La gestione operaia deve dunque realizzare la soppressione  di ogni potere di una minoranza e quindi anche dello stato . Non si tratta  più  di dominazione, di egemonia di una  classe ma di gestione e amministrazione sia sul piano politico economico da  parte degli organismi di massa, delle comuni, del proletariato armato. Il  potere diretto del popolo non è uno stato. E ciò che certi chiamano la  dittatura del proletariato, la denominazione è equivoca ma non ha più nulla a  che vedere con la dittatura di un partito o di una burocrazia. E' semplicemente  la vera democrazia rivoluzionaria.  
            Comunismo  libertario e umanesimo 
            Così il Comunismo  Anarchico o Libertario, realizzando la società della completa realizzazione  dell'uomo, dell'uomo umano, dell'uomo nella sua totalità, se così si può dire,  apre un'epoca di progresso permanente di trasformazione graduale, di transizione. 
  Esso crea allora un  umanesimo di scopo, un umanesimo la cui ideologia è nata nell'ambito di una  società di classe nel corso stesso dello sviluppo di classe,  un umanesimo che non ha niente a che vedere  con le mistificazioni sull'uomo astratto come i liberal borghesi cercano di  mostrarcelo all'interno della loro società di classe. 
  E così la rivoluzione  basata sulla capacità rivoluzionaria delle masse, del proletariato affrancando  la classe sfruttata affranca tutta l'umanità. 
  Così la negazione all'inizio  di un umanesimo interclassista ci porta alla lotta per una società comunista  libertaria il cui scopo non sono altro che lo sviluppo dell'uomo. 
              III - La Rivoluzione 
              Il problema del potere e  dello stato 
            Dopo aver esaminato in  grandi linee le forme sotto le quali si esprima la potenza della classe  dominante, e dopo aver fissato  i tratti  essenziali del Comunismo Libertario, ci resta da precisare come noi vediamo il passaggio  rivoluzionario. Noi tocchiamo un punto essenziale dell'anarchismo e qui è la  differenza più chiara con tutte le altre correnti socialiste. 
             Che cos'è la  rivoluzione 
            La rivoluzione, cioè il  passaggio della società di classe, alla società comunista-libertaria senza  classi, deve essere considerata come un lento processo di trasformazione o come  un'insurrezione? 
              Le basi della società  comunista si formano  all'interno della  società di sfruttamento e le nuove condizioni tecniche-economiche, dei rapporti  di classe, le nuove idee entrando in conflitto con le vecchie istituzioni,  determinano una crisi che chiama un cambiamento brusco e decisivo, apportano un  cambiamento da lungo tempo preparato nel seno della vecchia società. La  rivoluzione è il momento in cui nasce la nuova società distruggendo i quadri  dell'antica: capitalismo di stato, ideologia borghese. E' un passaggio reale e  concreto tra due mondi. La rivoluzione non può quindi avvenire che nelle  condizioni oggettive: la crisi finale del regime di classe. 
              Questa concezione quindi  non ha nulla a che vedere con la concezione romantica dell'insurrezione, del  cambiamento radicale attuato "dall'oggi al domani" senza  preparazione. Non ha niente a che vedere anche con la concezione gradualista  puramente evoluzionista dei riformisti o dei partigiani della rivoluzione-processo. 
              La nostra concezione  della rivoluzione ugualmente lontana dall'insurrezionalismo e dal gradualismo  può dunque caratterizzarsi attraverso la nozione dell'atto rivoluzionario da  lungo preparato nell'ambito della società borghese, ma ben determinato nel tempo,  all'inizio per l'intervento insurrezionale del proletariato contro la borghesia  e la sua conclusione con la presa e la gestione dei mezzi di produzione e di  scambio da parte delle organizzazioni di massa. Ed è questa realizzazione  dell'atto rivoluzionario che traccia una linea di demarcazione netta tra la  vecchia società e la nuova. 
              La rivoluzione distrugge  dunque il potere economico e politico della borghesia. Ciò significa che la  rivoluzione non si limita alla soppressione fisica della vecchia dirigenza o  alla liquidazione delle istituzioni giuridiche dello Stato: le leggi e le  abitudini dello Stato, i processi e le prerogative gerarchiche, la tradizione e  il culto dello Stato come dato psicologico collettivo. 
            Il periodo  di transizione 
            Ciò detto,  che può significare l'espressione tanto  declamata del "periodo di transizione" spesso considerata legata alla  nozione di rivoluzione? Se è considerato come il passaggio della società di  classe alla società senza classi, esso si  confonde con l'atto rivoluzionario. Se esso è il passaggio dalla fase inferiore  alla fase superiore del comunismo allora l'espressione è inesatta perché il  periodo post-rivoluzionario è tutto un lento e continuo processo, una  trasformazione senza scosse sociali e la società comunista continuerà ad  evolversi. 
              Tutto ciò che si può dire  è che noi abbiamo già precisato a proposito del comunismo-libertario: l'atto  rivoluzionario determina una trasformazione immediata, nel senso che le basi  della società sono radicalmente cambiate, ma progressive nel senso che il  comunismo è un continuo sviluppo. 
              In verità, per i partiti  comunisti e socialisti statali il periodo di transizione rappresenta una  società che rompe con l'antico ordine delle cose ma conservando degli elementi  e sopravvivenza del sistema capitalistico e statale. Esso è dunque la negazione  della vera rivoluzione conservando degli elementi del sistema di sfruttamento  la cui tendenza è quella di riaffermarsi e di svilupparsi. 
            La dittatura del proletariato 
            La  formula di "dittatura del proletariato" è stata usata nei modi  più differenti. Solo per questo fatto essa  deve essere condannata perché sono troppi i germi della confusione. Lo stesso  Marx  rappresenta sia la concezione  della dittatura centralizzata del partito  che pretende di rappresentare il proletariato, sia la concezione federalista  nella comune. 
              Può  essa significare l'esercizio del potere politico della classe operaia  vittoriosa? No, perché l'esercizio del potere politico nel senso classico di  potere politico, non può che esercitarsi tra un gruppo ristretto che esercita  un monopolio, una supremazia, separandosi dalla classe ed opprimendola. Così  volendo servirsi dell'apparato statale, si riduce la dittatura del proletariato  ad una dittatura del partito sulle masse. 
              Ma  se si intende per dittatura del proletariato l'esercizio collettivo e diretto  del potere politico da parte della classe, significa che il potere politico  scompare perché i suoi caratteri distintivi sono la supremazia, l'esclusivismo,  il monopolio. Ciò non è più l'esercizio del potere politico o la sua conquista,  ma è la liquidazione! 
              Se per dittatura si  intende il dominio di una minoranza sulla maggioranza, non è più questione di  dare il potere al proletariato,  ma ad  un partito ad un gruppo politico distinto. Se si intende per dittatura il dominio  della maggioranza sulla minoranza, dominio del proletariato vittorioso sui  resti della borghesia distrutta come classe allora l'instaurazione della  dittatura non ha altro senso che la necessità di organizzare efficacemente  l'organizzazione sociale e di istituire una vigilanza generalizzata. 
              Ma allora l'espressione è  impropria, usata male e causa di malintesi. 
              Se si vuole intendere per  dittatura del proletariato la supremazia della classe operaia sugli altri  strati della classe sfruttata (piccoli proprietari, proprietari poveri,  artigiani, contadini, ecc..) l'espressione non tiene affatto conto della realtà  e che questa realtà non ha nulla a che vedere con i rapporti meccanici tra  governanti e governati che implica il concetto di dittatura. 
              Parlare di dittatura del  proletariato è esprimere un cambiamento meccanico della situazione tra la  borghesia e il proletariato. Dunque, se la classe borghese tende attraverso il  potere a conservare la sua natura di classe, ad identificarsi nello Stato, ad  essere separata dalla società in generale, non è la stessa cosa nella classe  subalterna che tende a disfarsi della sua natura di classe e a fondersi nella  società senza classi. Se la dominazione di classe e lo Stato rappresentano la  potenza costituita e codificata di un gruppo che opprime i gruppi subalterni  non tengono per niente conto della pressione violenta esercitata direttamente  da parte del proletariato.  
              Il termine  "dominazione", "dittatura", "stato" sono  altrettanto poco adeguati che l'espressione "presa del potere" per  l'atto rivoluzionario per la presa delle fabbriche da parte dei lavoratori. 
              Noi rigettiamo come  impropria e portatrice di confusione l'espressione di "dittatura del  proletariato", "presa del potere politico", "stato  operaio", "stato socialista", "stato proletario". 
              Non ci resta che  esaminare sotto quali forme noi vediamo la risoluzione dei problemi della lotta  posti dalla rivoluzione e la difesa della rivoluzione. 
            Il potere operaio diretto 
            Respingendo le nozioni di  Stato che implica l'esistenza e la dominazione di una classe sfruttatrice che  tende a perpetuarsi, respingendo la nozione di dittatura che implica dei  rapporti meccanici dei governanti sui governati, noi ammettiamo tuttavia per l'azione  diretta rivoluzionaria, la necessità di un coordinamento. (E' necessario  impadronirsi dei mezzi di riproduzione e di scambio, dei centri di  amministrazione, bisogna combattere le forze della borghesia, difendere la  rivoluzione contro i settori contro rivoluzionari, contro gli esitanti, contro  gli strati sfruttati arretrati . 
              Si tratta dunque  certamente dell'esercizio di un potere, ma allora è il potere della  maggioranza, del proletariato in azione, del popolo in armi, che si organizzano  efficacemente per l'attacco, la difesa, istituendo una vigilanza generalizzata.  L'esperienza della rivoluzione russa, della Macknovicina, della Spagna del '36  sono qui per testimoniare. Noi non possiamo fare a meno di tener presente il  punto di vista di Camillo Berneri, che scriveva nel pieno della rivoluzione  spagnola e rifiutando la concezione bolscevica dello Stato. 
  "Gli anarchici  ammettono l'uso del potere diretto del proletariato, ma essi vedono l'organo di  questo potere come formato dall'insieme dei sistemi di gestione comunista -  organizzazioni cooperative, istituzioni comunali, regionali e nazionali -  liberamente costituite al di fuori e contro il monopolio dei partiti politici e  cercando di ridurre al minimo la centralizzazione amministrativa." 
              Noi ci opponiamo quindi  al concetto di Stato, in cui il potere è esercitato da un gruppo specializzato,  isolato dalle masse; la nozione del potere operaio diretto, dove i responsabili  e i delegati eletti e controllati, revocabili in ogni momento e retribuiti allo  stesso modo dei lavoratori, sostituiscono la burocrazia specializzata,  gerarchica, privilegiata, dove le milizie controllate dagli organismi di  gestione (soviet, sindacati, comuni, ecc..) senza privilegi per i tecnici  militari, realizzando il popolo in armi, rimpiazzano l'armata separata dal  corpo sociale e sottomessa all'arbitrio del potere di stato, o del governo,  dove le giurie popolari hanno il compito di giudicare i conflitti nati a  proposito dei contratti o degli impegni presi, rimpiazzano la repressione giudiziaria  della borghesia. 
            La difesa della rivoluzione 
            In ciò che concerne la  difesa della rivoluzione dobbiamo precisare che per ciò che concerne la nostra  concezione teorica della rivoluzione e quella di un fenomeno internazionale  distruggendo dunque ogni base del contrattacco della borghesia. E'  quando l'organizzazione  internazionale del capitalismo ha finito  tutte le possibilità di sopravvivere, solo quando ha raggiunto la fase  culminante della sua crisi, che si ritrovano riunite le condizioni ottimali per  una rivoluzione internazionale vittoriosa. Il problema della sua difesa non si  pone più allora che sotto la forma del problema della scomparsa completa della  borghesia. Decapitata della sua potenza   economica, amputata del suo potere politico, essa non esiste più come  classe, ma sconfitta, i suoi elementi sono tenuti sotto controllo dalle  organizzazioni proletarie in armi, assorbiti poi da una società che tende verso  il più alto grado di omogeneità. E questo lavoro deve essere assicurato direttamente  senza il ricorso di un corpo speciale burocratico. 
              Il problema della  delinquenza è vicino durante il periodo rivoluzionario a quello della difesa  della rivoluzione. La scomparsa dei diritti borghesi e dei metodi giudiziari e  penitenziari della società di classe non può far dimenticare che rimangono  degli asociali (anche se poco numerosi di fronte al numero dei prigionieri  nella società borghese prodotti nel maggior dei casi dalla condizioni sociali  di vita:  ingiustizia sociale, miseria,  sfruttamento) e che si pone il problema di qualche elemento completamente  irrecuperabile della borghesia. Gli organi del potere diretto delle masse che  noi abbiamo definito precedentemente sono obbligati ad impedire di nuocere e di  controllarli. 
              Non si può con il  pretesto della libertà lasciare libero e recidivo un omicida, uno squilibrato  pericoloso o un sabotatore. Ma il metterli in prigione da dei servizi popolari  di sicurezza non ha molto in comune con il regime penitenziario  avvilente della società di classe. L'individuo  privato della libertà deve essere trattato più sotto l'aspetto della  rieducazione che sotto l'aspetto giudiziario, aspettando che esso possa essere  rimesso, senza danno, nella  società. Ma  la rivoluzione non può realizzarsi fatalmente dappertutto nello stesso momento,  ci possono essere dei casi reali di rivoluzioni successive ma che non conducono  alla rivoluzione generale. Allora a fianco della difesa interna della  rivoluzione diventa necessaria la difesa esterna, ma questa non è possibile che  sulla base del popolo in armi organizzato nelle sue milizie e con l'appoggio  del proletariato e con la possibilità dell'espansione della fase  rivoluzionaria.. La rivoluzione muore se viene lasciata circoscritta e sotto il  pretesto della difesa essa cade nella restaurazione dello Stato e dunque della  società di classe. Ma la migliore difesa della nuova società risiede  nell'affermazione dei suoi caratteri rivoluzionari, primo perché crea  rapidamente le condizioni nelle quali nessun tentativo di restaurazione borghese  trovi  delle basi sociali. La totale  affermazione dei suoi caratteri socialisti all'interno è la migliore arma del  territorio rivoluzionario anche perché crea l'energia e l'entusiasmo  all'interno, il contagio e la solidarietà all'esterno. Questo fatto fu uno  degli errori più negativi della rivoluzione spagnola che mise in sordina le sue  realizzazioni per consacrarsi soprattutto   alle questioni militari della difesa. 
            Potere rivoluzionario e libertà 
            La lotta rivoluzionaria e  il consolidamento della trasformazione rivoluzionaria pongono la questione  della libertà delle tendenze politiche tendenti a mantenere, a restaurare lo  sfruttamento. Questo è uno degli aspetti del potere diretto delle masse, e  della difesa della rivoluzione. 
  Non può trattarsi di  libertà propriamente detta che (esistita fino ad ora allo stato di aspirazione)  si realizza giustamente per mezzo della rivoluzione: soppressione dello  sfruttamento, dell'alienazione, gestione per mezzo di tutti, dunque  partecipazione attiva alla vita sociale , quindi democrazia reale per tutte le  correnti partigiane della società senza classi (e dunque senza stato) di  esprimere le loro soluzioni particolari e le loro divergenze. Tutto ciò è  evidente.  
  Ma non è più lo stesso  qualora si tratti di correnti e di organizzazioni che si oppongono, più o meno  apertamente alla gestione operaia, e all'esercizio del potere per mezzo degli  organismi di massa. Si può trattare sia di correnti burocratiche, pseudo socialiste,  che di correnti borghesi in rotta. 
  Bisogna distinguere.  Prima, durante il periodo violento della lotta, bisogna sconfiggere  violentemente le formazioni e le tendenze che difendono o vogliono restaurare  la società di sfruttamento. E non si può permettere al nemico di organizzarsi  abilmente o di demoralizzare o di spiare. Questo sarebbe la negazione della  lotta, l'abbandono. Sia Makhno che i libertari spagnoli si sono trovati di  fronte a questi problemi e li hanno risolti con la soppressione della  propaganda del nemico. Ma nei casi in cui l'espressione delle ideologie  reazionarie non può avere delle conseguenze per la riuscita della rivoluzione,  per esempio dopo il consolidamento delle realizzazioni rivoluzionarie, queste  ideologie possono esprimersi se esse ne vedono ancora interesse e se ne hanno  ancora la forza. Esse non sono più allora che un soggetto di curiosità e  l'appoggio di massa alla rivoluzione toglie loro ogni nocività. Se esse si  esprimono soltanto sul terreno ideologico non possono che essere combattute che  sul piano ideologico e non con la repressione. La totale libertà di  espressione, nel seno delle masse coscienti non può essere che un fattore di  coscienza. 
  Senza dubbio, la  distinzione fra una "espressione reazionaria ideologica" e una  "attività reazionaria caratterizzata" è spesso difficile da  stabilire. Mkhno si trova davanti un caso delicato di questo genere a Kharkov a  proposito della stampa dei bianchi. 
              La distinzione deve  dunque essere esaminata caso per caso, pena l'involuzione verso la burocrazia o  il capovolgimento dei rapporti di forza a favore del nemico.  
              Resta da precisare che il  giudizio e la decisione spetta sempre, su queste questioni come sulle altre,  agli organismi popolari, al proletariato in armi. 
              Ed è in questo senso che  la libertà fondamentale, quella per cui la rivoluzione si è fatta, è mantenuta  e protetta. 
               
  ll ruolo  dell'organizzazione anarchica e ruolo delle masse 
            La concezione della  rivoluzione che abbiamo fin qui sviluppato sottintende un certo numero di  condizioni storiche: crisi acuta della vecchia società, da una parte, e d'altra  parte presenza di un movimento di massa cosciente e di una minoranza agente  bene organizzata e ben orientata. 
              E' la stessa evoluzione  sociale che permette lo sviluppo della coscienza e delle capacità del  proletariato, l'organizzazione dei suoi strati più avanzati, e lo sviluppo  dell'organizzazione rivoluzionaria. Ma questa organizzazione rivoluzionaria  sviluppa la sua azione sull'insieme delle masse andando a sviluppare le loro  capacità di autorganizzazione. Abbiamo visto, a proposito dei rapporti fra  l'organizzazione rivoluzionaria e le masse, che nel periodo pre-rivoluzionario,  l'organizzazione specifica non può che proporre dei fini e dei mezzi e  non può farle accettare che attraverso la  lotta politica e l'esempio. 
              Durante il periodo  rivoluzionario essa deve operare allo stesso modo; pena la degenerazione  burocratica e la trasformazione dell'organizzazione anarchica in corpo  specializzato, in potere politico distinto dalle masse, in Stato. 
              Senza dubbio,  l'organizzazione d'avanguardia, politica, la minoranza agente, può farsi carico  nel corso della  rivoluzione di compiti  particolari (per esempio la liquidazione di forze nemiche), ma essa non può in  generale che essere la coscienza del proletariato. Ed essa deve alla fina  riassorbita, dissolversi nella società man mano che, da una parte si compie il  consolidamento della società senza classi e la sua evoluzione dalla fase  inferiore verso la fase superiore del comunismo, e dall'altra le masse nella  loro totalità hanno sviluppato tutta la coscienza necessaria. 
              Sviluppo della capacità  d'autogoverno delle masse, vigilanza rivoluzionaria, questi devono essere i  compiti dell'organizzazione di specifico una volta attuata la rivoluzione. Le  sorti della rivoluzione dipendono in gran parte dall'attitudine dell'organizzazione  di specifico, del suo modo di concepire il proprio ruolo in quanto la vittoria  della rivoluzione non è predeterminata: le masse possono desistere, e  l'organizzazione della minoranza rivoluzionaria può venir meno ai suoi compiti  di vigilanza, lasciando ristabilire le basi della restaurazione borghese o  della dittatura burocratica o ancora trasformarsi essa stessa in potere  burocratico. A nulla servirebbe nascondersi questi pericoli o, per evitarli,  rifiutare l'azione organizzata. E' con molta lucidità che noi dobbiamo  combattere ed è nella misura in cui noi saremo lucidi e vigilanti che  l'organizzazione anarchica potrà compiere totalmente il suo compito storico. 
            La morale comunista libertaria 
      
  La concezione anarchica rivoluzionaria esprimendo  degli obiettivi da raggiungere e nel precisare la natura del ruolo  dell'organizzazione delle avanguardie nel rapporto con le masse, riflette anche  un certo numero di regole di condotta. E' dunque necessario precisare ciò che  noi indichiamo per "morale". 
            Noi combattiamo le morali 
            Le morali di ogni società  riflettono in una certa misura le condizioni di esistenza, il livello di  sviluppo di questa società e in conseguenza, si esprimono in regole molto  severe, non ammettendo alcun errore in alcun senso (il superamento, la volontà  di modificare queste regole è un crimine). Allo stesso modo le morali (che  esprimono una certa necessità nel quadro della vita sociale) tendono  all'immobilità. 
              Esse non esprimono dunque  semplicemente una necessità pratica, media, in quanto entrano in contraddizione  con le nuove condizioni d'esistenza che possono prodursi. D'altronde, esse sono  affette da un carattere religioso, teologico o metafisico, e presentano le loro  regole come espressione di un imperativo soprannaturale, le azioni conformi o  non alle regole si gloriano di un carattere mistico: virtù o peccato, e la  "rassegnazione" che in realtà non dovrebbe essere che il  riconoscimento del limite dell'uomo davanti a certi fatti, diventa la prima  delle virtù e può spingere anche alla ricerca della sofferenza, divenendo la  virtù per eccellenza. 
              Il cristianesimo è, da  questo punto di vista, una delle morali più odiose. La morale dunque, non si  codifica solo sotto forma di sanzione esteriore, ma è ancorata negli individui  sotto forma di "coscienza morale" essendo questa coscienza morale  ottenuta e mantenuta soprattutto grazie al carattere religioso soprannaturale.  Essa diviene così estranea alla semplice traduzione nella coscienza dell'uomo  delle necessità della vita sociale. 
              Infine e soprattutto le  morali anche quando non esprimono apertamente la divisione della società in  classi o caste, sono utilizzate dalle categorie privilegiate per giustificare e  assicurare il loro dominio. Come il diritto e la religione (religione, diritto,  morale non sono che espressioni, in campi vicini, della stessa realtà sociale),  la morale sanziona le condizioni e relazioni esistenti nel senso del dominio e  dello sfruttamento. 
              Le morali esprimono  l'alienazione dell'uomo nelle società di sfruttamento, come le esprimono le  ideologie, i codici, le religioni ecc.., essendo caratterizzati  dall'immobilità, la mistificazione, la rassegnazione, la giustificazione e il  mantenimento dei privilegi delle classi, si concepisce che gli anarchici  abbiano portato una grande parte dei loro sforzi a denunciare i veri caratteri  delle morali.  
            Si può spesso  sottolineare che le morali possono evolversi, modificarsi, che una morale può  essere sostituita da un'altra nel seno stesso della società di sfruttamento. Ci  sono state delle sfumature, degli adattamenti o delle variazioni legate alle  condizioni d'esistenza ma in realtà queste salvaguardano gli stessi valori  essenziali: rassegnazione e rispetto della proprietà, per esempio. Non è meno  vero che questi adattamenti sono stati combattuti e che i loro promotori spesso  sono stati perseguitati (Socrate, Cristo) e che la morale ha tendenza  all'immobilità. 
              Non sembra, ad ogni caso,  che gli asserviti abbiano potuto produrre nelle morali dei valori che sino loro  propri. 
              Ma ciò che importa è di  sapere se gli sfruttati e i rivoluzionari che esprimono le loro aspirazioni  possono avere dei valori e una morale propria. 
              Se noi non vogliamo  accettare la morale della società nella quale viviamo, se rifiutiamo questa  morale perché questa riconosce, per mantenerlo, uno stato sociale di  sfruttamento e di dominio e perché è impregnata d'astrattismo, di ideali  metafisici, su cosa possiamo noi basare una nostra morale? C'è una soluzione a  questa contraddizione apparente: è che la riflessione, la scienza sociale ci  permettono di intravedere un divenire che sia la possibilità per l'uomo di una  totale emancipazione, e questo divenire non è d'altronde altro che le  aspirazioni generali degli oppressi, espresse attraverso il vero socialismo,  attraverso il comunismo libertario. Il nostro fine è dunque rivoluzionario ed è  il nostro ideale, il nostro imperativo. E' sì un ideale, un imperativo sul  quale si può fondare una morale, ma è un ideale che si fonda sul reale e non su  una rivelazione religiosa o metafisica. 
              Questo ideale è un  umanesimo, ma un umanesimo basato su una trasformazione rivoluzionaria della  società e non su un umanesimo sentimentale fondato sul nulla e che camuffa le  realtà della lotta sociale. 
              Quali sono i valori che  manifestano nel proletariato questo ideale? 
              Questa morale si esprime  per mezzo di regole, di precetti? 
              E' evidente che non si  può agire e giudicare in funzione di nozioni di "bene" e  "male", in funzione delle morali che noi combattiamo, non più di  quanto non possiamo lasciarci trascinare alle futili discussioni sui termini,  sulla questione di sapere se la causa dell'azione deve chiamarsi  "egoismo" o "altruismo". 
              Ma fra gli atti che sono  assicurati normalmente dai giochi affettivi e dai sentimenti (l'amore materno,  la simpatia, la salvaguardia d'un simile in pericolo, ecc..) e gli atti che  rilevano dei contratti, dei patti scritti o costumi, dunque il diritto, vi è  tutta una gamma di relazioni sociali che rilevano delle concezioni e una  coscienza morale. 
              Qual'è la garanzia del  rispetto sincero delle clausole del contratto? Quale deve essere l'attitudine  di un uomo nei confronti dei suoi avversari? Quali armi gli sono vietate usare?  Non c'è che una morale che possa guidare, che possa assegnare limiti, che possa  evitare di ricorrere senza tregua alle contestazioni e alle giurie. 
              Noi scopriamo, nella  pratica rivoluzionaria, nella vita del proletariato cosciente dei valori come  la solidarietà, il coraggio, il senso di responsabilità, la lucidità, la  tenacia, il federalismo o la democrazia reale delle organizzazioni operaie e  anarchiche che raealizzano contemporaneamente la disciplina e lo spirito  d'iniziativa, il rispetto della democrazia rivoluzionaria cioè la  possibilità per tutte le correnti  sinceramente legate alla creazione della società comunista, la possibilità di  esprimersi, di criticare, e così il perfezionare la teoria e la pratica  rivoluzionaria. 
              La base rivoluzionaria  che noi abbiamo fissato come imperativo ci dispensa evidentemente da ogni  morale di fronte al nemico, di fronte alla borghesia che tenta di far pesare  sui rivoluzionari, per sua difesa, i divieti della sua morale. E' evidente che  in questo campo solo il fine detta la nostra condotta. Ciò significa che  essendo il fine riconosciuto, scientificamente stabilito, i mezzi non sono  altro che gli strumenti e di conseguenza possono essere considerati tali solo  quando sono compatibili con lo scopo. 
              Ciò non vuol dire  qualsiasi mezzo, oppure che i mezzi non si devono "giustificare".  Bisogna quindi respingere la formula equivoca : "il fine giustifica i  mezzi"  e dire più semplicemente:  "i mezzi non esistono, non sono scelti che in vista del fine al quale essi  sono legati, compatibili, e non devono essere giustificati d'avanti all'avversario  e in funzione della sua morale". 
              Ma per contro, questi  mezzi rientrano necessariamente nel quadro della nostra morale, poiché essi  sono adeguati all'ideale e questo ideale, il comunismo libertario, suppone la  rivoluzione che a sua volta suppone una presa di coscienza delle masse. Per esempio,  essi implicano la solidarietà, il coraggio, il senso di responsabilità, ecc..  che abbiamo citato prima come "virtù della nostra morale". 
              C'è un punto sul quale  bisogna soffermarsi, un punto della nostra morale che si potrebbe ricollegare  al senso di solidarietà ma che, in realtà, è il carattere stesso di tutta la  nostra morale: la verità. Come è normale ingannare il nostro avversario, la  borghesia, che usa ogni furbizia, così è necessario dire la verità non solo fra  compagni, ma anche alle masse. 
              Come potremo fare  altrimenti poiché è necessario prima di tutto accrescere la loro coscienza,  quindi le loro conoscenze  e la  loro capacità di giudizio? Quelli che hanno  voluto procedere altrimenti non sono riusciti che ad avvilirle e scoraggiarle,  facendo perdere loro tutto il senso della verità, dell'analisi, della critica. 
              Il cinismo immorale non  ha nulla di proletario o di rivoluzionario. E' l'espressione di elementi  decadenti della borghesia che constatano il vuoto della morale ufficiale ma  sono incapaci di trovare in un ambiente vivo una morale sana. 
              L'immoralista è in  apparenza libero in tutti i suoi   movimenti, ma egli non sa più dove va e inganna se stesso dopo aver  ingannato gli altri. 
              Non basta avere uno  scopo, c'è anche bisogno di una bussola. 
              L'elaborazione di una  morale, in seno al movimento comunista-libertario, consolida la teoria  rivoluzionaria e apporta un contributo importante alla preparazione di una  nuova cultura, negando la cultura borghese. 
              
              
              
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