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IL PUNTO

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Quando si dice parlar chiaro

di Cristiano Valente

Sul sito della Fondazione Futuro Italia, il think tank promosso da Luca Cordero di Montezemolo, Presidente della Ferrari ed ex Presidente della Confindustria, nella presentazione di un loro recente studio sulla mobilità sociale in Italia la, si legge:

”Mobilità sociale. Un termine complicato per una domanda semplice: quante possibilità ha una persona nata in una determinata classe sociale di accedere a certe professioni e di realizzare le proprie aspettative?”

La domanda come si intuisce non è priva di interesse nella situazione odierna in cui per le giovani generazioni il futuro lavorativo si presenta senza alcuno sbocco concreto sia in termini di aspettative lavorative che di possibilità di reddito e di autonomia.
Quello che però colpisce maggiormente dell’intera analisi e dello studio che la Fondazione ha elaborato, oltre alla capacità di approfondimento e di comparazione dei dati statistici che contiene, è il linguaggio chiaro e le categorie di analisi fondamentali che vengono utilizzate.
La prima si evince direttamente dalla domanda iniziale stessa di presentazione. Si usa la categoria di classe sociale.
Ma non ci avevano tentato di spiegare tutti, padroni, ex filosofi prestati alla politica, giornalisti, politici, prelati, compreso ex comunisti ed ora semplicemente democratici, che le classi non esistevano più e che la stessa categoria di classe sociale era solo un retaggio vetusto di una metodologia e di un linguaggio vetero che non corrispondeva più alla realtà?
Come sempre più spesso accade, invece, sono gli stessi padroni o una certa borghesia che si autodefinisce illuminata o democratica, come nel caso di Italia Futura, ad usare tranquillamente le categorie ed i linguaggi che meglio permettono di capire la realtà, interpretarla e quindi cambiarla.
Si ! si parla di classi sociali. Ma non basta.
Nello studio ci si sofferma e si analizza quella che un tempo avremmo chiamato correttamente selezione di classe, confermando non solo una stratificazione di fatto della società in classi ma la consapevolezza che l’appartenenza ad una classe sociale disagiata o meno abbiente non permette di accedere a livelli di istruzione e quindi di censo maggiori.
Il cuore dello studio, infatti, dimostra come la cosiddetta mobilità sociale, cioè la possibilità di passaggio da una classe all’altra sia sempre più difficoltoso e che la polarizzazione è il fenomeno predominante: aumenta sempre più chi da una classe di appartenenza sprofonda in quella più bassa e sempre meno sono chi riesce a fare un salto sociale positivo.

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Questa polarità relativa alla mobilità sociale è consequenziale e direttamente proporzionale con la polarità che ritroviamo a livello di distribuzione del reddito. Non è affatto un presunto merito a giustificare l’appartenenza sociale oppure a determinare le sorti e gli sviluppi delle nuove generazioni, ma ancora la vecchia e solita selezione di classe, cioè l’appartenenza o meno ad una classe sociale più o meno agiata, che condiziona le prospettive delle future generazioni.
A tale conferma, nelle pagine successive dello studio citato, troviamo:
 
“L'Italia …… negli ultimi anni ha visto un sostanziale declino del reddito procapite rispetto agli altri paesi, e ha visto aumentare notevolmente le disuguaglianze, tanto che oggi è uno dei paesi con maggiore disparità nella distribuzione dei redditi non solo in Europa, ma in tutta la comunità dei paesi Ocse.
Per dare una misura più concreta e tangibile di cosa ciò significhi, basta pensare che in Italia il 20% delle famiglie più ricche detiene quasi il 40% del reddito totale nazionale, mentre il 20% delle famiglie più povere percepisce redditi pari solo all'8% del reddito totale…Secondo i dati Eurostat, che adotta una soglia di povertà leggermente più elevata (intesa come reddito inferiore al 50% del reddito mediano), in Italia il 25% dei bambini vive in famiglie povere: il tasso più alto tra i paesi europei.”

 

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“Il 25%, una cifra altissima. Questo significa che due milioni e mezzo di bambini italiani vivono in condizioni di privazione materiale e, molto spesso, sociale e culturale. Bambini che si porteranno dietro uno svantaggio di cui non sono responsabili. Non a caso i test scolastici dell'Ocse condotti sui quindicenni mostrano che il 67% dei ragazzi italiani che conseguono cattivi risultati nei test provengono da famiglie di basso status sociale. E sono sempre i figli delle famiglie più povere e meno istruite che hanno la minore probabilità di andare all'università e laurearsi, in Italia più che altrove. L'80% dei laureati ha almeno un genitore laureato. E tali probabilità non sono migliorate nel tempo, anzi, per i figli di diplomati la probabilità di laurearsi è più bassa oggi di quanto non fosse una generazione fa.”

E ancora a rendere più esplicito il concetto:

 Tabella 2: Percentuale di figlio con la stessa laurea del padre (Fonte: Almalaurea)

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“…un laureato in legge con un padre notaio o avvocato avrà ritorni ben diversi da chi ha un padre che ha fatto la terza media; un farmacista col padre farmacista potrà accedere ad opportunità migliori in tempi più rapidi e così via. È per questo che in Italia si trasmettono di generazione in generazione non solo i beni e i redditi, ma anche le professioni. Il 44% degli architetti è figlio di architetti, il 42% di avvocati e notai è figlio di avvocati e notai, il 40% dei farmacisti è figlio di farmacisti e così via (Tabella 2).”

La vulgata ipocritamente democratica e progressista che continua ad indicare privo di senso l’orizzonte della necessità del superamento dell’attuale struttura economica e sociale confidando nelle sorti democratiche e progressive di uno sviluppo capitalistico ininterrotto, viene smentita dai fatti. Le nuove generazioni stanno peggio di prima.
Il sogno distintivo di quella che in anni lontani definimmo l’utopia riformista viene inficiato da questi semplici dati.
Certo la fondazione di Montezemolo non si spinge a conclusioni analoghe alle nostre. Non evince che è la stessa struttura economica e sociale basata sul profitto e sull’appropriazione individuale a determinare quasi meccanicamente le storture da loro stesse denunciate.
Anzi continua a perorare una possibilità di sviluppo in cui la vera meritocrazia sia la base della dinamica sociale ed in cui una mobilità reale fra le classi sia garantita.
Si raccomanda, ad una futura ed ipotetica classe dirigente, di puntare allo sviluppo dell’istruzione e di tutti quegli istituti che permettano una nuova e reale mobilità sociale senza la consapevolezza che gli stessi dati da loro forniti testimoniano  l’opposto, continuando (o facendo finta, poco importa) a pensare a scelte soggettivamente sciagurate e controproducenti da parte di un ceto amministrativo e da compagini governative disoneste e non attente.
Un'altra categoria di analisi, anch’essa considerata vetusta e superata quale l’imperialismo ha avuto di questi tempi un’insospettabile conferma.
Le parole dell’ex Presidente della Germania, Horst Köhler, ex direttore amministrativo del Fondo Monetario Internazionale e membro della CDU, addirittura costretto nel maggio scorso a dimettersi, proprio per le affermazioni che aveva fatto, che ci riportano alla necessaria riflessione sulla necessità del comunismo e sul superamento dell’attuale sistema economico e sociale.
Ad una radio tedesca durante una visita in Afghanistan il 22 maggio scorso Horst Koehler aveva affermato:

“Un Paese delle nostre dimensioni, concentrato sull'export e quindi sulla dipendenza dal commercio estero, deve rendersi conto che gli sviluppi militari sono necessari in un'emergenza per proteggere i nostri interessi -, ad esempio per quanto riguarda le rotte commerciali o per impedire instabilità regionali che potrebbero influire negativamente sul nostro commercio, sull'occupazione e sui redditi”.
Altro che missione di pace. Decisamente un parlar chiaro.

13/10/2010