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   “ queste poche indicazioni basteranno per dimostrare che proprio lo sviluppo  dell’industria moderna deve far pendere la bilancia sempre più a favore del  capitalista contro l’operaio e che per conseguenza la tendenza generale della  produzione capitalista non è all’aumento del livello medio dei salari, ma alla  diminuzione di esso, cioè a spingere il valore del lavoro, su per giù, al suo  limite più basso.”(Karl  Marx.- Salario, prezzo e profitto)
   rilanciare il conflitto sociale, impostare forti e durature lotte
 rivendicare alti aumenti salariali
 Nell’ultimo  nostro editoriale, a proposito dello smarrimento politico ed ideologico della  sinistra politica italiana conseguente il risultato delle lezioni politiche  dicevamo:“non ci sono scorciatoie né,…. narrazioni  più o meno nuove da fare. Occorre rilanciare il conflitto sociale, impostare  forti e durature lotte e rivendicazioni salariali”.
 La  proclamazione dello sciopero generale da parte della CGIL per il 12 Dicembre (data oltremodo significativa per noi anarchici),  le ripetute iniziative di sciopero e di rivendicazioni categoriali, passando  dai lavoratori del pubblico impiego, della scuola, dell’università e della  ricerca, al commercio fino ai lavoratori dei trasporti, ma soprattutto  l’inaspettato movimento degli studenti medi ed universitari che a fronte della  Riforma Gelmini, (taglio dei  finanziamenti, riduzione di personale, maestro unico e possibilità di  trasformare le università in Fondazioni), hanno prontamente compreso il  pesante attacco che si cela dietro tali indirizzi, permettono ai rivoluzionari  di ritessere una trama di radicamento e di indirizzo attraverso la quale porre  concrete basi di resistenza politica organizzata e di rilancio del conflitto di  classe che l’attuale crisi economica mondiale rende oltremodo necessaria.
 Il  capitalismo non è un sistema sociale regolato in base ad un armonioso e  corretto rapporto fra produzione di merci e beni sociali necessari, fra  effettiva necessità della domanda sociale ed offerta di prodotti.
 Basta  pensare a paesi, per esempio, come il Vietnam o l’Egitto che notoriamente non  hanno risolto i loro problemi di autosufficienza alimentare e sono al contempo  fra i maggiori esportatori di riso, oppure al caso dell’Argentina, la quale in  occasione delle forti speculazioni sui generi alimentari verificatesi nel  maggio scorso ha imposto ai propri produttori pesanti dazi sulla soia al fine  di calmierare i prezzi ed evitare vere e proprie sommosse contro il carovita,  moderni “attacchi ai forni”, verificatesi invece in più paesi africani  ed asiatici.
 L’attuale  crisi non è l’effetto distorto di speculatori rampanti o di scarsi controlli da  parte di autorità governative nazionali o sopranazionali; essa è figlia  legittima dei meccanismi intrinseci del sistema di accumulazione.
 Non  esiste un sistema finanziario cinico, malato, corrotto in contrapposizione ad  una economia reale manifatturiera sana, sobria, lungimirante ed eticamente  corretta.
 I  vari prodotti finanziari dai “subprime” (mutui ipotecari americani) fino  agli oramai tristemente famosi “derivati” non sono e non erano strumenti fraudolenti, ma il modo in cui i capitali  cercavano ed ottenevano il massimo profitto realizzabile all’interno di un  sistema di produzione che a causa di una rinvigorita competizione internazionale  tra vecchi e nuovi poli capitalistici e da un conseguente eccesso di capacità  produttive non garantiva più profitti crescenti, spostando quindi ingenti masse  di capitale nella sfera finanziaria.
 Il  capitale finanziario, risultato della concentrazione del capitale bancario,  assicurativo con quello industriale monopolistico guida lo sviluppo economico;  nel 2006 i profitti delle maggiori aziende quotate a Wall Strett derivavano per  oltre il 30% da attività finanziarie.
 La  stessa crisi che viene fraudolentemente chiamata crisi dell’economia reale, che  si concretizza in merci non vendute, minor produzione e di conseguenza sviluppo  di crisi industriali, cassa integrazione, chiusure di siti industriali e di  servizi, riduzione di personale a partire dai lavoratori precari non sarebbe  comprensibile se non si tenesse di conto della premessa iniziale che dicevamo:  la produzione non è finalizzata secondo i bisogni sociali, ma unicamente per  aumentare i valori di scambio e realizzare il massimo profitto.
 Non  è certo venuto meno la necessità sociale di case, né tanto meno la necessità di  prodotti alimentari o di consumo generale da parte dei lavoratori e delle nuove  generazioni, senza voler inserire in questa triste lista di bisognosi, le  moltitudini che ancora oggi non dispongono di alcun reddito.
 Sono  anni che nella letteratura politica ed economica si parla della questione della “quarta settimana”.
 I  limiti di spesa, così come i parametrici economici europei ed internazionali  sono stati per anni il motivo per cui a fronte delle richieste di maggiore  capacità di spesa e di aumento del potere di acquisto dei lavoratori dipendenti  si è gridato all’untore.
 Chi  ancora si dichiarava per una concezione universalistica e pubblica dei servizi  veniva additato come folle.
 Questa  crisi ha svelato il vero volto della struttura economica internazionale e dei  rispettivi Governi nazionali.
 Per  salvare le Banche e con loro i capitalisti ed i loro profitti non ci sono  parametri e regolamenti internazionali che tengano.
 Tutto  il castello ideologico, presentato artatamente per anni come neutro ed  ineluttabile, costruito per decenni come una vera ed unica fede fatta di libero  mercato, di sviluppo della concorrenza, di FMI e Banche Centrali diventa carta  straccia.
 Tutti  si stracciano le vesta nel dire che occorrono nuove regole a livello mondiale.
 Nel  frattempo però tutti i governi mondiali separatamente hanno garantito le  proprie Banche e quello che queste rappresentano.
 Se  non fosse tragico per le sorti dei lavoratori e delle loro famiglie ci sarebbe  da ridere sulla richiesta sempre più pressante dell’intervento statale da parte  di tutti gli ex paladini del “meno stato, più mercato”.
 A partire  dalla Presidente di Confindustria Marcegaglia per finire all’industria  automobilistica statunitense (General Motors, Ford e Chryslere) le quali  arricchitesi sulla produzionedi SUV oggi in crisi di liquidità invoca l’aiuto  di stato per investire su motori ibridi ed elettrici.
 La  Cina, la maggior creditrice degli USA, ha stanziato 600 miliardi di Euro per  opere infrastrutturali e per un poderoso piano di recupero edilizio per aiutare  la domanda interna spostando l’equilibrio della propria economia  dall’esportazione di merci al mercato interno.
 Tali  politiche favoriranno politiche protezionistiche sviluppando ulteriormente una  competizione economica a livello mondiale di cui i salari e le condizioni dei  lavoratori saranno le uniche vittime.
 Questa  crisi infine smaschera anche i partiti socialdemocratici o riformisti che dir  si voglia i quali abbagliati per oltre un ventennio sulla strada del libero  mercato non traggono oggi nessun insegnamento dalla storia anche recente,  riscoprendosi odierni keynesiani, continuando a sostenere la possibilità di un  capitalismo temperato e sobrio, non rendendosi conto che il capitalismo è più  pragmatico e cinico di loro.
 Più  la crisi avanza e si aggrava più l’armamentario del vecchio “new deal” viene saccheggiato dagli ex  ultra liberisti.
 La  verità è che l’intervento statale non è mai venuto meno e che in tutti questi  ultimi 30 anni del presunto trionfo del liberismo la prima potenza mondiale,  gli USA, si è retta grazie alle politiche di deficit del bilancio e di deficit  della stessa bilancia commerciale,equilibrate solo dalla potenza militare e  dalle sue alte spese per l’appunto sempre statali.
 Non  c’è niente di ineluttabile, non ci sono leggi ferree di una economia neutra. La  questione è squisitamente politica e sociale. Sono i rapporti di forza fra le  classi a determinare dove e come si spostano quote di capitale.
 Non  è un caso che ingenti risorse pubbliche siano indirizzate al salvataggio delle  Banche e delle stesse istituzioni finanziarie responsabili del tracollo e non  si prevede alcuno strumento serio e strutturale di sostegno o di aiuto a chi è  vittima di tale situazione.
 In  America, per esempio, si poteva semplicemente prevedere che tutti coloro che  non possono più pagare i mutui restassero nelle loro case invece di  rifinanziare e salvare gli stessi istituiti che hanno prima stipulato quei  mutui e poi venduti come derivati finanziari.
 Stesso  discorso in Italia. Si trovano 40 miliardi di Euro per mettere al sicuro il  sistema finanziario, mentre si tagliano 150 mila posti di lavoro nella scuola  per un ammontare di 8 miliardi per la scuola; oppure si pensa di pagare i  lavoratori pubblici con un aumento contrattuale di 50 euro lordi mensili, non  si interviene per finanziare la Cassa Integrazione e cosi via.
 In  questi ultimi venticinque anni si è determinato il più grande travaso di  capitale dal monte salari, cioè soldi destinati ai lavoratori, alle rendite ed  ai profitti.
 Recentissimi  studi della Bri (Banca regolamenti Internazionali) confermano che il saldo  negativo per i lavoratori è di oltre 500 euro mensili.
 Solo  il recupero del drenaggio fiscale del 2008 comporterebbe una restituzione media  per lavoratore di circa 360 euro annui.
 Voler  realmente sanare la questione della “quarta  settimana” significa che su stipendi medi mensile di 1200 euro recuperare ¼  delle retribuzioni, cioè 300 euro mensili per lavoratore.
 Sono  queste le cifre che renderebbero il solo "maltolto" di questi  anni senza contare gli arretramenti ancora più pesanti che i lavoratori  subiscono a seguito della sempre più spinta privatizzazione dei servizi e della  riduzione reale del “welfare” Bisogna  favorire e sviluppare il conflitto di classe.
 Occorre  usare tutta la forza del movimento operaio organizzato e dei suoi naturali  alleati come le nuove generazioni, le donne e puntando su alcune battaglia  centrali a partire dalla battaglia salariale.
 Per  questo occorre sostenere lo sciopero del 12 dicembre cercando di allargarlo il  più possibile, sapendo che la controparte ci conterà e mantenere alta la  mobilitazione e la conflittualità sociale.
 Costruire  nei luoghi di lavoro comitati unitari che superino la divisione sindacale e la  frammentazione delle stesse categorie di lavoro a partire dai lavoratori  precari e delle ditte esterne appaltatrici.
 Sostenete  la mobilitazione degli studenti universitari e medi contro la riforma Gelmini,  prevedere forme di organizzazione con gli stessi genitori degli alunni delle  scuole materne ed elementari cercando di inceppare il meccanismo del maestro  unico e della riduzione del tempo pieno.
 Chiedere  la detassazione delle tredicesime, ma soprattutto forti aumenti retributivi nei  contratti di lavoro ancora da fare tali da farli diventare riferimento generale  delle rivendicazioni.
 La  cultura individualistica e del si salvi chi può oramai diffusa a livello di  massa potrà essere sconfitta solo se la lacerazione sociale, le divisioni fra  le generazioni, si ricompone sviluppando una nuova concezione solidaristica e  di mutuo sostegno.
 Occorre  in sostanza vincere una battaglia affinché si possa riacquisire a livello di  massa la percezione che la lotta collettiva paga.
 Cristiano Valente03/12/2008
   
 
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