| IL PUNTO I contributi firmati non rispecchiano necessariamente l'intero gruppo redazionale Crisi della sinistra parlamentare 
            crisi identitaria o crisi  delle condizioni materiali  Le  recenti elezioni politiche e successivamente quelle amministrative hanno  disvelato una crisi della sinistra politica che per il momento sembra  inarrestabile.La  rappresentanza parlamentare dei quattro partiti che formavano la Sinistra  Arcobaleno (PRC PdCI Verdi e SD) è stata totalmente azzerata.
 Il  risultato delle due liste fuoriuscite dal PRC, il PCL di Ferrando così come la  Sinistra Critica di Turigliatto, non è certo un credibile argine al tracollo  elettorale.
 Pur  non avendo mai condiviso la strategia e le pratiche della sinistra  parlamentare, ciò non di meno avvertiamo questa sconfitta anche come nostra, non  fosse perché sarà ben difficile sottrarsi al peso travolgente delle sue  macerie.
 Comprendere  cosa e come sia successo è necessario ed indispensabile al fine di poter  nuovamente ipotizzare il superamento dell’orizzonte capitalistico con le sue  inevitabili miserie, ingiustizie e crimini materiali e culturali, rilanciare  una nuova stagione di conflitto sociale affatto risolto o tacitato.
 Un  primo punto fermo, almeno per noi, risiede nel convincimento che sia la difesa  e lo sviluppo delle condizioni materiali, storicamente determinate delle classi  subalterne, a sviluppare coscienza e successivamente a determinare su l’intera  società quell’egemonia culturale e politica da parte delle organizzazioni che  al movimento dei lavoratori si richiamano.
 La  politica delle alleanze del movimento operaio e delle sue organizzazioni con i  ceti medi così come con le larghe masse giovanili e femminili si determina solo  ed esclusivamente se i rapporti di forza all’interno dello scontro sociale sono  ad esso favorevoli.
 Non  è possibile attrarre alcunché se le prospettive sono di continuo restringimento  delle stesse libertà democratiche borghesi e le condizioni materiali del mondo  del lavoro sono all’insegna della compressione salariale, dell’iniqua  redistribuzione della ricchezza prodotta, del ricatto occupazionale e della  precarietà come oramai avviene da oltre un ventennio.
 Non  servono quelle presunte riflessioni o elaborazioni seppur complesse, ansiose  nello sbarazzarsi di qualsiasi riferimento alla storia del secolo scorso e che  finiscono per sbarazzarsi anche delle reali radici di una forza di  trasformazione e di progresso, le quali usando spesso un lessico bizzarro  finiscono per manifestare sostanzialmente insipienza.
 Ci  pare il caso di Nichi Vendola, pur esponente di punta del PRC e attuale  Governatore della Puglia, che riguardo al futuro del partito della rifondazione  afferma: “…dire che l’esito finale sarà  necessariamente un nuovo partito è far prevalere la noia sulla gioia della  creazione. Non è questa l’unica dinamica possibile. Io non so indicare il  plastico del nuovo soggetto unitario e plurale…” (1)
 Così  come nel tentativo di spiegare il successo della Lega Nord, soggetto affatto “ unitario e plurale, ”   ma forse l’ultimo vero partito parlamentare  pesante e reale, come i vecchi partiti operai del secolo scorso, afferma che questa “ si propone come comunità politica e  comunità territoriale… ma anche di voglia di trovare forme di identità dentro  una globalizzazione che spiazza tutti.   In una condizione di atomizzazione lì c’è un agire politico che  ricostruisce un collante” (2) come  se tali argomentazioni fossero esplicative di qualcosa o una nuova e singolare  metodologia da parte di una forza politica.
 In  realtà una delle caratteristiche principali se non fondamentale delle  organizzazioni che si rifanno al movimento operaio è stata propria quella di  formare e dare identità alle masse subalterne, (contadini, operai settori  giovanili, donne) in quanto a fronte delle disuguaglianze sociali insite nella  società capitalistica ed in mancanza di strutture politiche e sindacali atte  alla resistenza ed alla rivendicazione collettiva si affacciano sul mercato del  lavoro e nei confronti della struttura societaria tutta sostanzialmente soli e  individualmente e di conseguenza perdenti.
 Che  altro sono state all’origine le Casse di Resistenza, il movimento cooperativo,  le prime organizzazioni sindacali, le Camere del Lavoro o piuttosto le Case del  Popolo se non un tentativo sacrosanto e corretto di costruire anche nei  territori un collante identitario ed una poderosa spinta all’organizzazione del  conflitto ed al mutamento dei rapporti di forza?
 La sinistra politica nel suo insieme, non avendo più avuto  la capacità difendere le condizioni economiche e sociali delle masse  subalterne, avendo responsabilmente spostato il pendolo dei rapporti di forza a  favore delle classi e dei ceti più abbienti, ha portato il suo blocco sociale  di riferimento a dover cercare nuove identità seppur fallaci e improbabili come  la cultura e la pratica xenofoba della Lega Nord o nella stessa cultura e  pratica individualista di cui è portatore il Berlusconismo e tutta la  coalizione di centrodestra.
 Una  strana e distorta visione della società per niente armonica, ma un paradossale  rovesciamento ed ampliamento della sana e reale lotta di classe a favore di una  lotta di tutti contro tutti favorendo chi individualmente ce la fa o ce la  fatta, non importa come.
 Una  grossa responsabilità nell’aver dissipato un patrimonio identitario e la stessa  tenuta dei presupposti solidaristici tipici della sinistra sta nei gruppi  dirigenti delle OOSS e dei partiti riformisti arrivati all’approdo del Partito  Democratico.
 Speculare  all’insipienza della Sinistra Arcobaleno è la riflessione di settori  virtualmente ultrasinistri e radicali quali i Centri Sociali del Nord Est.
 Il  loro portavoce, Casarini, riesce ad affermare, che non esiste nessuna “sconfitta da introiettare dentro di noi  perché nel contingente della sinistra sono stati sconfitti quelli che volevano  cancellare i movimenti” ” (3)
 E  in un crescendo di delirio, sempre usando quel linguaggio bizzarro e fintamente  dotto, ma sostanzialmente vuoto conclude: “  non vogliamo produrre nessun tipo di rappresentanza.  Qualsiasi tipo di spazio pubblico che si genera non può che  essere espressione di territorialità” (boh!!) (4)
 Non  porsi alcun problema di rappresentanza o di raccordo alle istanze concrete e  storiche del movimento operaio e dei ceti subalterni, scambiare le proprie  esigenze di convivialità o di leaderismo con pratiche sociali sovversive, porsi  con distacco e quasi disprezzo dall’umore delle masse popolari che hanno subito  e vivono una pesante sconfitta non può essere foriero di una nuova stagione di  lotte.
 Si  potrà forse inaugurare qualche bocciofila nuova (“spazio pubblico”) ma non avrà niente a che vedere con Carlo Marx,  citato da Casarini nell’intervista, né con la lotta di classe, né con le  presunte moltitudini.
 Non  può bastare, come non ci basta, dire o poter dire l’avevamo detto; occorre  continuare a tessere la trama dell’organizzazione, della resistenza e della  lotta.
 Se  forze politiche e organizzazioni sindacali che hanno come loro missione la  difesa e il miglioramento delle condizioni materiali e dei bisogni delle masse  non riescono a svolgere questo ruolo la sconfitta è inevitabile.
 Vi  deve essere inoltre la consapevolezza che nei momenti di riflusso del conflitto  sociale, quando le forze conservatrici e reazionarie hanno la supremazia, come  in questi ultimi venticinque anni, la ritirata non può essere disordinata, ma  occorre avere delle casematte da cui poter ripartire.
 Sarebbe  stato necessario in questi anni attrezzarsi ad una lunga stagione di battaglie  politiche e sindacali e non arretrare su alcuni punti fondamentali delle  condizioni operaie e popolari.
 Non  cedere, per esempio, sul terreno delle normative delle condizioni lavorative,  invece di esaltare le progressive sorti della flessibilità della manodopera,  oppure non cedere sulla questione previdenziale a partire dalla riforma Dini  (1995), avendo chiaro che si poteva anche perdere, ma diverso sarebbe stata una  sconfitta subita ed imposta dall’avversario di classe fatta invece passare come  elemento avanzato dalle stesse organizzazioni operaie e sindacali, salvo  riconoscere a posteriori la sconfitta.
 La  richiesta nel pessimo accordo sul Welfare del luglio scorso di quel 60% minimo  dell’ultimo stipendio da garantire alle future pensioni non è forse rivelatrice  delle giuste argomentazioni contrarie a quell’accordo che settori consistenti  della sinistra politica e sindacale in compagnia di larghi settori della FIOM  opposero e che invece fu voluto e fatto passare dai gruppi dirigenti di CGIL  CISL e UIL e dallo stesso gruppo dirigente dell’ex PCI come un buon accordo ed  un passo in avanti nell’interesse dell’intero paese?
 In  questa tenaglia fra le condizioni reali delle masse lavoratrici e delle future  generazioni e presunti interessi generali, eufemismo per mascherare gli  interessi reali della borghesia nazionale e dei gruppi finanziari ed  industriali nazionali, a prevalere sono stati gli appetiti e le condizioni  materiali di quest’ultimi con un vertiginoso aumento dei profitti e delle  rendite negli ultimi venticinque anni come oramai è chiaro a tutti.
 Da  tale ricatto non è riuscito o non ha voluto uscire lo stesso partito della  Rifondazione Comunista il quale pressato dal ricatto della governabilità non è  riuscito né a rappresentare i reali interessi dei lavoratori, delle masse  giovanili così come dei movimenti che pure con questa formazione  simpatizzavano, né a tenere su alcune questioni fondamentali.
 E’  successo così che con l’avallo di questa formazione sono passate fra le più  pesanti ristrutturazioni e decisioni politiche a scapito delle masse popolari.
 Basta  citare il famoso pacchetto TREU del lontano 1997 per passare alla missione  militare in Albania fino all’ultima scelta sciagurata dei finanziamenti alle  missioni militari in Afghanistam per finire all‘accordo sul Welfare seppure  criticato dal partito e non votato dal ministro di Rifondazine, ma considerato  non grave da uscire dal governo e determinare una crisi, salvo averla facilitata  e fatta gestire da settori moderati e conservatori come Dini e Mstella.
 Un  classico comportamento di cretinismo parlamentare su cui il gruppo dirigente  del PRC, ma soprattutto i militanti, dovrebbe riflettere, invece di baloccarsi  sulla falce e martello piuttosto che sui presunti paradigmi della società  globalizzata e da noi già individuato in tempi non sospetti (5)
 Smarrendo  il compito finale e prioritario e soprattutto non ponendosi il problema reale e  centrale della rappresentanza dei ceti popolari si indugia in pratiche  compromissorie a partire dalle amministrazioni comunali, provinciali e  regionali fino al governo nazionale dando significato unicamente al peso  elettorale in quanto questo presuppone finanziamento e presenza e finta  egemonia, salvo pagare il conto anche su questo terreno.
 Non  doveva essere necessario perdere queste elezioni per capire che nei posti di  lavoro non esiste più alcun freno all’arbitrio padronale e alle pratiche  antisindacali.
 Non  esistono scorciatoie né, usando il linguaggio fintamente originale, narrazioni  più o meno nuove da fare.
 Occorre  rilanciare il conflitto sociale, impostare forti e durature lotte e  rivendicazioni salariali.
 Se  organismi dichiaratamente governativi e interstatali come la Banca dei  regolamenti internazionali (Bri) e lo stesso Fondo Monetario Internazionale  (FMI) evidenziano che le quote di salario che in questi ultimi venticinque anni  (a partire dal 1985) sono passati dai salari alle rendite ed ai profitti  ammontano ad oltre il10% del Pil (6) e che  per rimanere nel concreto la quota di salario erosa da questo passaggio è  all’incirca dalle 400 alle 520 euro mensili come è possibile che le richieste  contrattuali, la dove ancora è possibile contrattare, siano di poco superiori  alle 100 euro in due o tre anni?
 Torniamo  alle cose concrete. Occorre vincere per poter allargare il fronte e le stesse  rivendicazioni.
 Un  vecchio internazionalista a noi caro, Errico Malatesta, nel 1920 in polemica  con chi gli attribuiva la teoria del tanto peggio tanto meglio affermava: “ … la situazione in Italia è oggi così  eminentemente rivoluzionaria … perché le condizioni del proletariato sono  migliorate, le sue pretese sono cresciute in conseguenza…” e sempre nello  stesso scritto in relazione all’odierno sbigottimento sul fatto che settori  consistenti di classe operaia hanno votato Lega o Forza Italia ricordava: “ …normalmente le categorie più misere del  proletariato sono anche le meno rivoluzionarie. ” (7)
  Cristiano Valente5/5/2008
 Note: 
              il  manifesto 25/04/82008 . Intervista a Nichi Vendola “ Contro furbizie e veleni  un confronto vero”Idem  nota 1il  manifesto 25/04/2008. Intervista a luca Canarini “Perde chi voleva cancellare i  movimenti”Idem  nota 3Comunismo  Libertario n° 29 ottobre 1997 “Massimalismo e cretinismo parlamentare. Due  faccie di una stessa medaglia nefasta per i giovani e i lavoratori”  La  Repubblica 05/05/2008. “Il declino globale degli stipendi in busta 5mila euro  in meno l’anno”“Tanto  peggio, tanto meglio”.  Articolo di E.  Malatesta in Umanità Nova n°102 del 26/06/1920  
 
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