|  | IL PUNTO LA  NECESSITA’ DI UN’ ALTRO MONDO RISPETTO ALL’ATTUALE SISTEMA ECONOMICO E  POLITICO E’ INSITA NELLA STESSA CRISI ECONOMICA E SOCIALE QUALE  LEVA USARE PER IL CAMBIAMENTO?
 di Cristiano Valente Viviamo  in una fase economica, politica e sociale, all’interno della quale le future  prospettive sono quanto mai incerte. La crisi  economica mondiale, acclarata oramai da oltre 5 anni e le ricette proposte  dalla troika (FMI, Bce e UE) di tagli e riduzioni dei salari e servizi oltre a  non risolvere l’assenza di lavoro e reddito sufficiente per milioni di  lavoratori e per le nuove generazioni, peggiorando ulteriormente la tenuta  sociale ed economica dei paesi tutti (il famoso PIL è dato da tutti gli istituti  di ricerca in diminuzione anche nel 2013) può determinare e sta già in parte  determinando dinamiche sociali e politiche profondamente reazionarie,  nazionaliste, scioviniste.
 La  presenza e il crescere di formazioni politiche dichiaratamente xenofobe e nazionaliste  come Alba Dorata in Grecia, il Fronte Popolare in Francia, la stessa Lega nuova  versione in Italia sono tutti fenomeni da non sottovalutare.
 Così  come forse ancora più pericolosa delle stesse formazioni politiche  dichiaratamente neonaziste o scioviniste, è l’aperta campagna diffamatoria che  i vari media, giornali e opinion leader nazionali con assiduità veicolano  quotidianamente, ognuna contro i governi e gli stati stranieri.
 Così ci  tocca leggere o ascoltare da autorevoli e benemeriti professoroni dure  reprimende contro la Germania, rea di non sostenere con le proprie capacità  finanziarie ed economiche le realtà più deboli europee (quanto poi coerente sia  tale proposito con il contemporaneo e continuo richiamo alla competitività  nazionale è arduo verificarlo, ma tanto’è) e viceversa nella stessa Germania  s’indirizza un’opinione pubblica contro una presunta Europa delle cicale e dei  fannulloni amanti dell’ozio, dello spreco e della corruzione.
 Basta  scorrere le pagine dei uno dei maggiori quotidiani tedeschi quali il Bil  Zeitung, oltre 5 milioni di copie giornaliere, per capire come l’opinione  pubblica tedesca viene informata con gli stereotipi classici sui fannulloni,  sui pensionati d’oro ecc. dei greci o degli italiani e viceversa dalle nostre  parti, autorevoli opinion leader, giornalisti, uomini politici accusare la  Merkel e la Germania di aver lucrato e finanziato il proprio debito e la stessa  bilancia commerciale a scapito degli altri paesi dell’Eurozona.
 La  sirena nazionalista ritorna con le tremende analogie al secolo scorso, quando a  partire dal nostro diritto divino alla “quarta sponda” ci siamo ritrovati in  poco più di venti anni in due guerre mondiali con tutto il seguito di  devastazione materiale e morale che queste presuppongono.
 Sperando  che non si arrivi per ora a una nuova guerra guerreggiata notiamo che la  vulgata (e nemmeno tanto vulgata) democratica di apparente buon senso continua  a ripetere che le scelte e i sacrifici richiesti da questo governo siano prive  di attenzione verso i ceti popolari e meno abbienti, per cui, pur riconoscendo  la loro inevitabilità, (a “saldi invariati” è la formula tragicamente usata dal  segretario del Partito Democratico, Bersani) si cerca di attenuare il loro peso  e la loro ricaduta indicando altre strade e altri ceti su cui far pesare in  parte il peso economico e sociale.
 Per  questo si evidenzia, a secondo delle platee che si hanno davanti, come strade  in parte alternative alle scelte classiste del governo e del padronato, una  vera lotta all’evasione fiscale, una patrimoniale effettiva, una riduzione  degli sprechi ecc. in un continuo indicare cose che nessun uomo di buon senno  potrebbe non difendere e condividere.
 Cosi  come tutta una serie di economisti, uomini di fede, opinionisti ecc. continuano  ad indicare altre strade nell’utilizzo dei denari pubblici da investire invece  che in grandi opere in mille e più piccole, per esempio il consolidamento delle  ferrovie locali, invece di chiuderle, oppure nel recupero del patrimonio  artistico e monumentale, oppure la manutenzione del nostro territorio.
 Tutte  queste contro indicazioni sono e rimangono indicazioni di buon senno, ma la  domanda che occorre farsi è per quale motivo queste scelte non vengono fatte?
 Perché è  una scelta politica, qualcuno sostiene. Il che vuol dire privilegiare alcuni  interessi rispetto ad altri. E quali sono questi interessi che vengono  privilegiati? Quelli della classe che comanda, quella che determina il  meccanismo stesso di accumulazione e di sviluppo.
 Quindi,  in sostanza, è il sistema capitalistico che va incriminato e che va cambiato.  Del resto la stessa crisi conferma che tale sistema non è certo dei migliori.
 Non è  necessario mostrare che esiste un’altra strada o come si diceva non molto tempo  fa che un altro mondo è possibile. La consapevolezza esiste.
 Il  problema è trovare o meglio far crescere la leva, lo strumento che obblighi a  cambiare strada. Questa leva sono i rapporti di forza fra le classi. Non esiste  altro.
 Non si  può comprendere come mai, nonostante tutto, le manovre del governo Monti  passano se non si guarda ai rapporti di forza reali che oggi schiacciano la  massa dei lavoratori impotenti a rovesciare il meccanismo di rapina dei loro  redditi e delle loro condizioni normative e dei diritti residui conquistati.
 Occorre  ripartire dal lavoro e dai rapporti di forza al suo interno. Occorre non  indietreggiare ancora e puntare a una resistenza tenace dei diritti e delle  condizioni di vita.
 Occorre  comprendere che l’attuale meccanismo di accumulazione del capitale non crea e  non creerà mai la piena occupazione, ma che tende a frantumare e ad asservire  il lavoro, creando di continuo sacche di miseria, depravazione e nuovi  arricchimenti.
 Attività  che sfuggano dalla pura logica dell’accumulazione di capitale e che  s’inseriscano in una strategia di utilità sociale e ambientale, operosità che  diano reddito alle persone e senso alla vita sono cose che si possono ottenere  in una società che ha alla base un progetto solidale e comunitario. Non può  entrare in questa logica la competitività né il presunto merito, né tanto meno  un convincimento di presunta trasparenza delle forme istituzionali coadiuvate  dagli strumenti telematici (la rete, internet ecc.)
 Non sono  le metodologie a condizionare gli accadimenti, ma al contrario è la realtà a plasmare  gli stessi strumenti rappresentativi o di delega.
 Ma una  prospettiva così fatta, dove la socialità e il mutuo appoggio sono condizioni  prioritarie e dove la libera iniziativa si manifesta non in antitesi alla  comunità, ma né è parte integrante e complementare è il comunismo al di là di  qualsiasi altro sostantivo si voglia usare.
 Allora  come in un tragico gioco dell’oca si riparte dalla casella iniziale.
 Com’è  possibile, avendo quest’orizzonte, creare le condizioni per rompere lo schema  triviale della gabbia capitalista e mettere le premesse per un altro modo.
 Sono i  rapporti di forza fra le classi. Sono, oggi, il tentativo, seppur disperato in  fasi di crisi, di non arretrare più di tanto sul terreno delle condizioni  materiali.
 A ogni  persona di buon senno appare assurdo quello che cotanti tecnici sbandierano  come obiettivi credibili per la ripresa economica e sociale.
 Per  aumentare i posti di lavoro si aumenta il periodo lavorativo, allungando il  momento della pensione; per aumentare il lavoro per i giovani si aumenta  l’orario, colpevolmente dimentichi che la riduzione d’orario può servire per  redistribuire il lavoro che c’è e che forti riduzioni d’orario erano il  risultato di precedenti battaglie scaturite dalla consapevolezza di forte  disagio psichico e fisico delle lavorazioni a ciclo continuo con notti e  festivi lavorativi.
 Si pensi  che in un settore come le FS il nuovissimo contratto prevede il passaggio per i  manovratori, quindi persone che lavorano con turni continuativi di mattina,  pomeriggio e notte da 34 ore a 38 e di tutto il restante personale dalle 36 ore  alle 38. Così come la stessa richiesta per il rinnovo del contratto fatta dalla  FIAT che nel chiedere aumenti di ore di straordinario non contrattato porta a  50 ore effettive la settimana lavorativa; il delirio della mente se dietro  purtroppo non ci fosse un progetto altamente spregiudicato ma coerente con gli  interessi che si vogliono tutelare e dall’altra una classe lavoratrice  ricattata e disunita dalle condizioni economiche e sociali che vive.
 Una  forza lavoro sempre più frantumata, disposta a tutto e incapace di  organizzarsi.
   E’ ora  di dire basta a questo continuo arretramento  Lo  sciopero generale, che fin dalla prima manovra sull’allungamento dell’età pensionabile  si è più volte indicato, ma mai organizzato, va fatto e va richiesta una  moratoria di tutte le leggi e decreti emanati peggiorativi.Il  fronte di lotta va esteso e generalizzato. Lavoratori pubblici e lavoratori  privati mai come in questa fase stanno subendo le stesse ingiustizie e vivono  le stesse difficoltà.
 L’aver  pensato e detto che per esempio la vicenda di FIAT a Pomigliano fosse isolata  fa pari con una certa indulgenza e complicità di settori anche sindacali nei  confronti dell’altra vicenda di attacco ai lavoratori pubblici sferrato  precedentemente da Brunetta contro i famosi “fannulloni” dimostratesi entrambe  ottimi cunei per attaccare complessivamente la classe lavoratrice.
 (A  conferma di un ceto politico miserrimo, e detto solo per inciso, sulla vicenda  di Pomigliano nessuno ancora ha chiesto scusa o fatto ammenda a partire dai due  sindaci del PD Fassino e Renzi i quali dichiararono di votare SI se fossero  stati operai a Pomigliano).
 In  questa fase di crisi di rappresentanza dei partiti, come viene chiamata la  mancanza di una forza politica di sinistra con forte radicamento popolare, le  strutture sindacali, la CGIL può svolgere un ruolo di rappresentanza e di  coordinamento anche delle nuove generazioni che nessun altro partito e  formazione oggi può svolgere.
 Le  Camere del Lavoro territoriali possono e devono essere motori d’iniziativa e  aggregazione.
 Nessun  sito produttivo deve chiudere. Forti riduzioni d’orario devono essere previste  per mantenere l’occupazione.
 Per i  comunisti libertari e anarchici presenti nella lotta di classe il compito è  quanto mai arduo, ma nello stesso tempo affascinante.
 Occorre  ora uscire dal settarismo e dall’autoreferenzialità delle nostre piccole  consorterie e impostare un lavoro di coordinamento sulle battaglie e sugli  obiettivi intermedi da indicare.
 Si  tratta di definire un programma politico su cui aggregare nuovi compagni e  giovani generazioni affinché non tutto venga perso e sconfitto.
 Costruire  presidi e aggregazioni utili nell’immediato e sopratutto nel divenire mettendo  le basi di un aggregato che non si limiti ai nostri gruppi limitati e sparsi,  ma che possa essere d’indirizzo e radicamento nelle masse giovanili che prima o  poi riprenderanno il destino nelle loro mani ritornando all’impegno e alla militanza,  sperando che ciò non avvenga nelle file dei naziskin, ma dei futuri  rivoluzionari.
 Luglio  2012    |